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Idee ed opinioni
L'accessione invertita nelle cessioni di alloggi IACP Pubblicato il 16/07/2012 in "Diritto Civile" Accadeva con frequenza che gli Istituti Case Popolari edificassero su suoli non formalmente espropriati. In tal caso quid juris? Il Notaio minniti si occupato, con il seguente studio, della questione per il Consiglio Notarile Distrettuale, offrendo una soluzione operastiva che ha consentito di sbloccare una serie di assegnazioni, sulle quali il dubbio operativo aveva inciso con una sostanziale inattività
*Al fine di fornire il parere richiesto dal Coordinatore Generale dello IACP di Siracusa, dott.***, con documento n.753 del 12 novembre 2008, occorre ricordare il contenuto, anche a beneficio dei consiglieri che leggono, della nota redatta dal geometra * , responsabile dell’Ufficio Espropriazioni dello stesso istituto.
L’estensore della nota, dopo aver ricordato di “non aver mai condiviso il parere reso in data 18\4\2005 dal CND di Siracusa”, espone le ragioni di tale suo dissenso, chiarendo subito che tali motivi “trovano la loro scaturigine nel fatto che tutte le aree interessate…..sono state legittimante acquisite in favore dei rispettivi comuni a seguito di regolare provvedimento espropriativo”; dichiara di non comprendere “sulla base di quali erronee notizie il Consiglio Notarile abbia ritenuto che gli interventi realizzati dall’istituto fossero stati eseguiti su area occupata…sine titulo”. Ricorda la recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e l’entrata in vigore dell’art. 43 del DPR 327\2001: la prima che avversa l’istituto, tutto giurisprudenziale, dell’accessione invertita; il secondo che ha mandato in pensione il detto istituto, regolamentando la materia dell’acquisizione appropriativa o usurpativa. Sostiene che il parere espresso dal CND si basa sull’ipotesi di una totale situazione di illegittimità, con riferimento alla fase dell’acquisizione delle aree, non condividendo tale visione. Sostiene, ancora, che nel caso in cui effettivamente si dovesse considerare operante l’istituto dell’accessione invertita, lo IACP sarebbe divenuto proprietario sia degli alloggi costruiti sia dell’area (“l’opera pubblica attrae a sé la proprietà dell’area”), “con buona pace della proprietà superficiaria sin oggi ampiamente richiamata negli atti di cessione stipulati”. Auspica una ricostruzione della fattispecie in termini dallo stesso ritenuti più corretti, “salvaguardando i sacrosanti diritti degli inquilini acquirenti”. Afferma che, per potersi trasferire il diritto di superficie, l’atto di cessione deve richiamare obbligatoriamente la delibera di concessione del diritto di superficie e la relativa convenzione costitutiva del diritto. Convenzioni, nel nostro caso, inesistenti. Conclude suggerendo:
Alla fine così schematizza:
Riconosce, infine, l’opportunità di sottoporre questa sua ricostruzione all’attenzione di questo Consiglio Notarile e conclude affermando che, nel caso in cui il Consiglio non dovesse aderire alla ricostruzione proposta, egli non vede “soluzioni diverse che consentano la cessione degli alloggi senza la preventiva stipula delle relative convenzioni”, paventando conseguenze problematiche e negative sugli atti sino ad oggi stipulati.
Fin qui l’esposizione sintetica delle opinioni espresse dal responsabile dell’Ufficio Espropriazioni dell’ IACP di Siracusa.
In estrema sintesi, l’estensore della nota che qui si esamina, contesta l’esistenza dell’occupazione sine titulo, in presenza di decreto di esproprio, figurando, quale soluzione legata alla fattispecie quella dell’usucapione a favore dello IACP.
E’ ora compito richiestoci, tentare di fare luce su un argomento tanto spinoso e di sicura difficile comprensione, quale quello che ci occupa, partendo dagli spunti di riflessione offerti dal geometra Nocera.
Per vedere se tale sua ricostruzione sia ammissibile, occorre ripercorrere sia il quadro normativo legato all’edilizia economica e popolare che la figura dell’accessione invertita; esaminare in che quadro normativo di fatto si è mosso lo IACP di Siracusa e verificare quale sia la normativa allo stesso applicabile, il tutto alla luce della esistenza di decreti di esproprio e verificare che valenza abbia la nuova normativa dettata dall’art. 43 del DPR 327\2001.
In breve, lo IACP di Siracusa, dopo aver fatto applicazione dell’art.10 del DL n.115\1974, effettua l’intervento edificatorio, senza mai giungere alla stipula della convenzione urbanistica, ex art. 35 della L. 865\1971.
E’ bene ricordare subito come il richiamato art. 10 abiliti l’ente ad occupare le aree e ad iniziare i lavori, prima della convenzione stessa ma dietro un preventivo impegno ad accettare il contenuto della futura convenzione. L’accento del legislatore è, dunque, posto sulla convenzione che, non solo dovrà essere stipulata, ma il cui contenuto dovrebbe già essere oggetto di impegno al suo rispetto da parte dell’ente, con ciò enfatizzando la portata dell’efficacia della convenzione stessa. Tale riflessione si manifesta importante quando, nel proseguo del presente lavoro, si farà riferimento alle diverse modalità di acquisizione delle aree, sia modalità legali che modalità che si discostano dal paradigma predisposto dal legislatore.
In breve, il quadro legato all’edilizia economico e popolare “convenzionata” così si può sintetizzare:
Questo quadro appare perfettamente adattabile agli enti privati (coop o aziende) cui sarà demandata l’edificazione delle opere pubbliche. Nel caso in cui concessionario del diritto di superficie sia un ente pubblico, si innesta – in alternativa al decreto di espropriazione d’urgenza - l’art. 10 del DL 115\1974, che consente all’ente stesso l’occupazione delle aree e l’inizio dei lavori prima della stipula della convenzione stessa.
Orbene, poiché lo scopo delle presenti riflessioni è finalizzato alla corretta stipula degli atti di assegnazione da parte di un soggetto avente effettivo diritto è di tutta evidenza che il nocciolo della questione verte sull’esatto momento dell’acquisto dell’area in capo all’autorità.
E’ necessario, pertanto, dopo aver ricordato la normale procedura acquisitiva secondo la legge, esaminare anche l’altra modalità, quella patologica, ma pur sempre fonte acquisitiva del bene a favore del patrimonio pubblico: la cosiddetta accessione invertita.
La giurisprudenza, nel tentativo di ridurre ad equità situazioni di conflitto non regolate espressamente da norme positive, e nel tentativo di dare prevalenza all’interesse pubblico su quello privato, tutte le volte che vi sia già stata una radicale trasformazione del territorio ma vi sia stato scostamento dal paradigma legale, ha introdotto la figura dell’accessione invertita. E’, tuttavia, da precisare, che tale attività giurisprudenziale non è innovativa del diritto: la giurisprudenza non ha facoltà legislative ma solo interpretative di norme già esistenti. E’ stato, dunque, sulla base di un lavoro effettuato su ordinari criteri ermeneutici di diritto positivo, che è stata elaborata la figura in esame. Non ha, dunque, pregio il richiamo fatto nella nota che si commenta al provvedimento della Corte europea dei diritti dell’uomo. Tale richiamo, infatti, viene utilizzato dal funzionario dello IACP per ricacciare la legittimità dello stesso istituto dell’accessione invertita, che sarebbe – appunto – “avversato dalla decisione della suddetta Corte”.
Non è così.
La Corte non ha deprecato l’istituto dell’accessione invertita in sé, ha bensì criticato lo Stato Italiano che ha messo il privato cittadino in una situazione di incertezza tale da rendere incerta e legata a canoni interpretativi e non normativi la tutela dei propri diritti privati ed individuali; ha stigmatizzato l’assenza, in materia espropriativa, di norme sufficientemente prevedibili. Lo Stato, pertanto ha provveduto a promulgare una norma, l’art. 43 del T.U. delle disposizioni in materia di espropriazione per pubblica utilità (DPR 327\2001) cercando di razionalizzare il momento acquisitivo dell’area, nel dichiarato intento di sanare le ipotesi di illegittima occupazione (ovvero di occupazione e trasformazione del territorio realizzata senza il pieno rispetto delle norme in materia). L’esame del nuovo istituto (l’atto formale di acquisizione) esula dal presente lavoro che si rivolge all’esame di aree già da tempo acquisite ed edificazioni da svariati anni realizzate (e pertanto nessun pregio può riconoscersi al suo accenno nella nota che si esamina) poiché “non sembra corretto,alla stregua dei normali canoni interpretativi del dettato normativo, ritenere ormai estinta la figura della c.d. accessione invertita come modo di acquisto della proprietà del fondo da parte della P.A. a seguito dell’occupazione sine titulo, quando tali fatti si sono verificati prima dell’entrata in vigore del T.U. , stante il chiaro disposto dell’art. 57, che consente un’ultrattività della disciplina vigente prima del sopraggiungere della nuova…(omissis)...non si può fare a meno di ammettere che se la fattispecie concreta si è esaurita in epoca precedente il T.U. medesimo, essa deve essere determinata dalla disciplina del tempo, anche se allo stato attuale essa non trova più spazio nel nostro ordinamento, che anzi ha reagito a tali forme di appropriazione della proprietà privata da parte della P.A.” (Studio CNN n. 173 del 28\3\2008).
Bene, assodato che la figura dell’accessione invertita, se ne ricorrono le condizioni, è ancora un istituto che può ricorrere per le fattispecie anteriori all’entrata in vigore della citata norma, occorre immediatamente dissipare un altro frequente equivoco: non è vero che l’accessione invertita sia legata solo ed esclusivamente alla occupazione illegittima di un fondo, intendendosi per tale una occupazione effettuata senza supporto, ossia senza decreto di esproprio o senza decreto di occupazione di urgenza. Una tale visione sembra eccessivamente semplicistica e porterebbe a pensare, come fa l’estensore della nota, che basti la previsione normativa (art. 10 DL 115\74) o l’esistenza comunque di un decreto di esproprio, a ricondurre il tutto a legittimità!
Invero l’occupazione illegittima si realizza tutte le volte che non venga rispettato il paradigma legislativo, e questo non sia portato a compimento; quando, cioè, si è al di fuori della legge.
Se, infatti, l’iter procedurale viene puntualmente seguito, il privato vanterà un corrispettivo nei confronti della PA parametrato all’indennità di esproprio; se, viceversa, il dettato legislativo non viene rispettato e perfezionato in tutti i suoi aspetti (a meno di non ritenere certi aspetti procedurali legali, meno importanti degli altri, ma ciò non è possibile perche se non li avesse voluti il legislatore non li avrebbe previsti), allora il diritto del cittadino - “non espropriato” ma comunque privato del dritto di proprietà sul suo suolo – è paramentrato al più ampio – economicamente parlando - risarcimento del danno. Ecco la reale valenza dell’accessione invertita: si tratta di correttamente compensare il dritto del cittadino o con l’indennità di esproprio (quando la PA ben si comporta) o con il risarcimento del danno (quando la PA mal si comporta, e cioè quando il suo agire è caratterizzato da uno stravolgimento dei criteri comportamentali fissato dalle norme) .
Ed allora la giurisprudenza ha rinvenuto che l’acquisto di un immobile appartenente ad un privato da parte della Pubblica Amministrazione avviene a titolo originario, a seguito della realizzazione di un’opera pubblica.
Il momento dell’acquisto (che è il reale argomento che ci interessa) avviene nel momento in cui, di fatto, si realizza l’irreversibile trasformazione del suolo. A nulla possono valere né il trascorrere del tempo (usucapione) né un successivo decreto di esproprio che, ormai, si rivolge ad una realtà giuridica modificata, ad un soggetto privato non più proprietario.
Nel caso specifico dello IACP di Siracusa, per quanto ricavabile dalla nota che si esamina e dalla documentazione integrativa richiesta dal sottoscritto e che consiste in tre decreti di esproprio (n. 27 del 2 maggio 1989 del comune di Rosolini; n.18\D del 29 novembre 2001 del comune di Floridia; n. 137 del 2 ottobre 1996 del comune di Carlentini), lo IACP non ha mai agito in base a decreto di occupazione di urgenza (strumento – come detto - utilizzato per altri enti, privati, quali le coop edilizie o altre imprese convenzionate), ma sempre sulla base del disposto dell’art. 10 del DL 115\74, convertito con Legge 247\74.
Come sopra ricordato, l’art. 10 abilita l’ente pubblico – a cui è destinato il diritto di superficie - ad occupare le aree e ad iniziare i lavori, prima della convenzione stessa ma dietro un preventivo impegno ad accettare il contenuto della futura convenzione. L’accento del legislatore è, dunque, posto sulla convenzione che, non solo dovrà essere stipulata, ma il cui contenuto dovrebbe già essere oggetto di impegno al suo rispetto da parte dell’ente, con ciò enfatizzando la portata dell’efficacia della convenzione stessa.
Ebbene, è proprio la promessa di rispettare il contenuto della futura convenzione, promessa mai realizzata proprio in mancanza di convenzione urbanistica, a far deviare il comportamento della PA da quello previsto per legge e qualificabile come virtuoso, in un comportamento difforme e senza dubbio non rispettoso dei diritti del privato proprietario in particolare e della intera cittadinanza in genere.
Non può, infatti, pensarsi che il contenuto della convenzione, mai stipulata, si riduca ad un rapporto interno tra Comune concedente e IACP concessionario. In detta convenzione, oltre alla concessione del diritto di superficie o di proprietà, è necessario prevedere tutta una serie di regole e di prescrizioni che lo IACP si è impegnato, a priori, a rispettare e mantenere. E tali regole sono quelle dettate a vantaggio della collettività, che deve veder rispettate le proprie aspettative nei confronti di una azione della P.A. che solo così è legittima, essendo viceversa illegittima.
Quando il rispetto del paradigma legale non è pieno e perfetto bisogna prevedere delle conseguenze. Tali conseguenze possono giungere fino al diritto del proprietario del suolo di mantenere la proprietà dello stesso con la costruzione che vi insiste? La giurisprudenza ha ritenuto di no. Sarebbe comunque una conseguenza eccessivamente squilibrata a favore del privato. Ed allora, la proprietà della costruzione va all’ente pubblico, ma il privato avrà diritto al risarcimento del danno effettivo e non solo alla minore indennità di esproprio.
Come si vede, dunque, anche la semplice mancanza dell’ultimo tassello, quello che impedisce il perfezionarsi di uno schema legale, dà luogo all’acquisizione in favore dell’ente pubblico del fondo su cui si è costruito, indipendentemente dall’esistenza di un decreto di esproprio successivo.
Quest’ultimo aspetto va brevemente trattato.
L’accessione invertita ha, come si è visto, come essenziale presupposto la radicale trasformazione del suolo. Il momento giuridico in cui avviene il trasferimento di proprietà è proprio quello dell’edificazione. In tale quadro, un decreto di esproprio che si rivolga ad un privato che non è più proprietario non po’ avere nessuna rilevanza. Nell’operare congiunto della previsione legislativa e del possibile comportamento difforme della PA (cui si connette l’accessione invertita), l’emissione del decreto di esproprio deve considerarsi sospensivamente condizionato al reale perfezionamento del paradigma legale che si conclude con la stipula della convenzione urbanistica ex art. 35 l.865\71: ove tale stipula avvenga, nei termini ordinari e legali, l’iter procedurale si perfeziona legalmente, con piena valenza del decreto di esproprio; ove tale stipula non avvenga, poiché il decreto di esproprio interviene in una situazione giuridica e di fatto già modificata, ne segue una sua totale inefficacia, poiché l’acquisizione del fondo al patrimonio indisponibile è già avvenuto secondo l’istituto dell’accessione invertita, per le considerazioni sopra svolte.
Venendo ad altri temi trattati nella nota che si esamina, il suo estensore, ancora, critica l’attribuzione agli inquilini del diritto di superficie, quand’anche si volesse dar credito (come ha fatto questo CND) alla sussistenza dell’istituto dell’accessione invertita. Egli dice che poiché il fabbricato attrae a sé il suolo, allora lo IACP dovrebbe essere proprietario sia di suolo che fabbricato e non semplicemente proprietario superficiario degli edifici.
A questa obiezione po’ rispondersi facilmente in due modi.
Primo: se proprio si vuol sostenere, semplicisticamente, che il fabbricato attrae a sé il suolo, allora lo IACP sarebbe veramente proprietario dell’insieme, ma ciò non escluderebbe la sua facoltà di assegnare agli inquilini (e quindi di costituire) la sola proprietà superficiaria, riservandosi di trasferire, in un secondo tempo, a favore del Comune la proprietà del suolo, quantomeno per ricondurre la situazione proprietaria finale a quella astrattamente prevista dal legislatore, così come sarebbe avvenuto se fosse stato perfettamente rispettato il dettato di legge.
Secondo: poiché i diritti non sono legati alle cose ma ai soggetti, è assolutamente improprio affermare che “il fabbricato attrae a sé la proprietà del suolo”. Se mai da qualcuno è stato detto ciò, (in termini letterali) è evidente che si voleva fare riferimento non al fabbricato in sé ma al soggetto giuridico che vanta diritti sul fabbricato. In quest’ottica, non vi è dubbio che il soggetto giuridico che vanta diritti sul fabbricato e che, conseguentemente, acquisisce diritti sul fondo privato, è la Pubblica Amministrazione. E poiché siamo nel campo della ricostruzione giurisprudenziale di un istituto non perfettamente regolato da norme positive, ma estrapolato da principi generali di ordine pubblicistico, si deve ritenere che la forma di travaso di diritti, dal privato alla Pubblica Amministrazione, avvenga secondo schemi il più vicino possibili a quelli previsti dalla legge: - e così al patrimonio indisponibile del comune andrebbe radicata, già dall’origine, la proprietà del suolo; - mentre a favore dello IACP la proprietà separata delle costruzioni dallo stesso realizzate. Non si dimentichi, infatti, che l’azione dell’Istituto parte sempre in attuazione di quanto disposto dal più volte citato art. 10 DL 115\74, che riconosce le facoltà ivi previste solo nel caso in cui si tratti di “concessionario del diritto di superficie”.
Grazie a questa ricostruzione, lo IACP da subito, sin dalla prima trasformazione del territorio privato, può tranquillamente gestire, concedere in locazione ed assegnare gli alloggi di cui ha la proprietà superficiaria. Con la ricostruzione fatta dall’estensore della nota che si esamina e con la sua soluzione, invece, per almeno venti anni, lo IACP agisce come soggetto non titolare di alcun diritto, ed agirebbe su cosa altrui, salvo a divenirne titolare con lo spirar dei 20 anni ed in presenza di tutte le condizioni, sempre da dimostrare. Nessuna possibilità di applicazione si avrebbe per l’usucapione breve, pur se richiamata, perché mancherebbe in ogni caso il titolo astrattamente idoneo al trasferimento, debitamente trascritto.
Occorre, ora, esaminare un caso particolare, quello dell’edificazione fatta non su suolo privato ma su suolo già di proprietà del comune. E’ il caso di Augusta, all’interno delle ex saline “Regina”.
Anche in tale ipotesi, non vi è dubbio che si è all’interno dell’ambito dell’edilizia economico e popolare che dovrebbe divenire “convenzionata”. L’unica differenza è la titolarità del fondo ab initio.
In primo luogo è necessario chiedersi se tale territorio sia demaniale o facente parte del patrimonio disponibile o indisponibile del comune. Nel primo caso non potrebbe mai parlarsi né di usucapione né di accessione invertita, per il chiaro disposto degli articoli 823 e 1145 del c.c. Mentre i beni facenti parte del patrimonio disponibile o indisponibile possono essere acquistati dai terzi in forza di usucapione.
E di accessione invertita?
Poiché lo statuto che si applica ai beni patrimoniali (disponibili o indisponibili) è, per opinione assolutamente dominante, quella della proprietà privata, in linea meramente teorica ed astratta l’istituto dell’accessione invertita può applicarsi anche ai beni non demaniali.
Occorre, però, chiedersi se nel caso concreto ciò sia possibile.
Secondo una prima ricostruzione ciò non sarebbe possibile proprio per la differente natura del fondo su cui si realizzano le opere pubbliche. Il fatto che il bene sia già pubblico e come tale già destinato a fini di pubblica utilità, può far ritenere che non possa versarsi all’interno dell’istituto fin qui analizzato. Il più volte citato art. 10 sembra far riferimento ad una specifica tipologia di area: gli enti vengono abilitati ad occupare le aree di cui all’art. 35 della l.865\71; queste aree sono quelle comprese nei piani di zona espropriate o cedute in proprietà in luogo dell’esproprio: aree, dunque, per definizione private.
Nel caso in esame questo presupposto manca del tutto: il suolo non è privato. Dunque la soluzione potrebbe essere diversa da quella fin qui sostenuta e dato che – in questo caso - non c’è un interesse privato che soccombe di fronte ad un interesse pubblico, non potrebbe parlarsi di accessione invertita. Potrebbe, dunque, sostenersi che, solo in questo specifico caso possa operare l’usucapione della proprietà superficiaria dei fabbricati. Pensando, infatti, all’elemento soggettivo, lo IACP non ha mai inteso estendere il proprio dominio anche al suolo di cui rispetta la proprietà aliena, ma ha sempre gestito i soli alloggi come fossero cosa propria, locandoli ed assegnandoli e, addirittura, cedendoli ed incassandone il corrispettivo.
Ma questo è solo un modo di affrontare la questione, tutto fondato sull’unica differenza della natura del suolo: privato in un caso, pubblica nell’atro.
A ben vedere, invece, occorre individuare quale sia l’aspetto dominante nella materia dell’edilizia economico e popolare in genere, ed in quella dell’accessione inverta, in particolare. L’elemento che differenzia e caratterizza l’istituto è la radicale trasformazione del suolo o, per meglio dire, la radicale destinazione dello stesso, non più votato a finalità private né a generiche finalità pubbliche, ma solo, esclusivamente e definitivamente ad edilizia economico e popolare.
Così ricostruita la reale situazione, non pare che il bene pubblico, occupato e trasformato senza possibilità di effettuare passi indietro, possa essere trattato in diversa stregua rispetto al bene privato, dovendosi, in definitiva, concludere che l’istituto dell’accessione invertita sia perfettamente attuabile anche in tali casi, richiamandosi – anche per il bene pubblico – tutte le argomentazioni sopra svolte, eccetto quelle riguardanti il risarcimento del danno e l’indennità di esproprio, per la confusione del creditore e debitore in un unico soggetto.
Anche qui lo IACP abbia agito nella convinzione di poter stipulare, un giorno, la convenzione urbanistica che le avrebbe assegnato la proprietà superficiaria degli edifici. Cosa che non è avvenuta. Anche qui si è realizzata una radicale trasformazione e destinazione del suolo ad opera di un ente che si è sovrapposto, con la sua azione, non perfezionata secondo il paradigma legale, al legittimo schema procedurale. Non vi è, dunque, ragione alcuna per non ritenere operante, a favore dell’ente che ha edificato , l’istituto dell’accessione invertita. |
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