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Il Notaio, un Pubblico Ufficiale per le parti,
al di sopra delle parti.
Idee ed opinioni
La Trascrizione dell'accettazione tacita di eredità Pubblicato il 26/11/2013 in "Diritto Civile" E' argomento particolarmente di attualità e poco conosciuto in profondità. Spesso trattato con superficialità o con l'applicazione di meccanismi automatici ed acritici, è fonte di sorprese e discussioni tra le parti. Il Notaio Minniti offre una soluzione ponderata alla problematica, mai univoca, aiutando i clienti ad adottare, in modo consapevole, una strada che sia adeguatamente soddisfacente per tutti gli intertessi in gioco.
PER UNA RIVISITAZIONE CRITICA DELLA TRASCRIZIONE DELL'ACCETTAZIONE TACITA DI EREDITA’. UN OPPORTUNO “RITORNO AL PASSATO”?
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1. LO SCENARIO:
Stipula di un atto pubblico di trasferimento. Nella storia ventennale del dante causa si rilevano una o più provenienze successorie. Non risulta essere stata effettuata alcuna trascrizione degli acquisti mortis causa. Sono invece state trascritte le dichiarazioni di successione. Il notaio rogante comincia a spiegare, secondo un recente modus operandi, ritenuto doveroso e corretto, che è necessario che i venditori spendano una certa cifra per procedere ad una o più trascrizioni di accettazione tacita di eredità. Si solleva il malcontento dei venditori, che non capiscono perchè oggi dovrebbero pagare quando:
Tutto ciò crea un malcontento generale. Il notaio si affanna a spiegare la differenza tra dichiarazione di successione e accettazione tacita; tra INVIM e accettazione tacita; il principio della continuità di trascrizioni; le conseguenze negative che potrebbero discendere da una catena di trascrizioni spezzata.
Tutto inutile.
Tecnicismi astratti e percepiti dal cittadino come mezzo per giustificare una ingiustizia. Il notaio deve rifugiarsi in falsi veri e propri:
Il clima diventa sempre più sospettoso.
Alla fine, pur di concludere, il venditore a malincuore paga, estremamente insoddisfatto, convinto di aver subito un sopruso, una ingiusta vessazione, spesso a copertura di altri notai precedenti o dello stesso notaio rogante che 7\8 anni prima non aveva richiesto la medesima tassa alla giusta persona!! Ebbene, tutto ciò è più frequente di quanto non si pensi, in tutti gli studi notarili. Nasce dalla “nuova scoperta” (ma è veramente tale?), da parte del moderno notariato, che la trascrizione dell'accettazione tacita di eredità sia necessaria, specialmente avuto riguardo alla continuità delle trascrizioni, va comunque rispettata!
Si considera il passato come una fonte di innumerevoli mancanze (ma fu veramente così?). Si considera la necessità di operare, nel ventennio, la continuità delle trascrizioni come fosse un obbligo di legge (ma lo è veramente?).
A me sembra, perciò, che vi siano validi motivi per non dare nulla per scontato:
Di scontato deve esserci solo la consapevolezza del professionista che, ripeto: consapevolmente decide di adottare una soluzione piuttosto che un'altra. Consapevolmente! Non intuitivamente o per seguire una tendenza che, molto poco consapevolmente, si ritiene di condividere.
E' per questo motivo che mi accingo a mettere per iscritto alcune riflessioni, per arrivare a conclusioni che riescano ad evitare lo spiacevole scenario sopra illustrato e che, se condivise in modo generalizzato, possono – lo spero – risolvere la problematica con soddisfazione di tutti.
Per ben capire tutto il meccanismo, occorre fare cenno e memoria dei principi generali, delle norme di diritto sostanziale, di quelle sulla pubblicità e delle norme speciali di cui si farà applicazione.
Le principali norme interessate: art. 476 c.c., art. 534 c.c., art. 651 c.c., art.680 c.c., art. 682 c.c., art.1376 c.c., art.2643 c.c., art.2644 c.c., art. 2650 c.c., art. art. 2652 n.7 c.c., art. 2829 c.c., art.2851 c.c.
2. LE PROBLEMATICHE
Al fine di trovare una soluzione al problema posto (“è necessaria sempre e comunque la trascrizione dell'accettazione tacita di eredità?”), mi è sembrato utile analizzare, caso per caso, le problematiche che possono sorgere quando c'è in gioco, in un ventennio, un acquisto a causa di morte:
a) la trascrizione: a chi giova? b) la continuità delle trascrizioni, ovverosia: non producono effetto le successive trascrizioni o iscrizioni a carico dell’acquirente; c) conflitto tra l'avente causa dall'erede apparente e l'erede o il legatario vero; d) conflitto tra l'avente causa dall'erede apparente e l'avente causa dall'erede vero; e) conflitto tra l'avente causa dall'erede e l'avente causa dal de cuius; f) mancata operatività della pubblicità sanante; g) possibilità di effettuare valida pubblicità (iscrizione o trascrizione o annotamenti) ancora contro il defunto; h) possibilità di realizzare l'usucapione abbreviata; i) la garanzia per evizione; l) interferenza del DL 78\2010 – conformità catastale.
3. LA TRASCRIZIONE: A CHI GIOVA?
Bisogna immediatamente ricordare che il sistema pubblicitario del nostro ordinamento è fondato su base personale e la pubblicità è meramente dichiarativa e non costitutiva (salvo che per le iscrizioni ipotecarie), rendendo così le trascrizioni non un obbligo ma un onere a carico di chi è effettivamente interessato!
Come si concilia quest'ultima affermazione con il dettato legislativo: 2643: “Si devono rendere pubblici..”; 2645: “Deve del pari rendersi pubblico...”; 2648, primo comma: “Si devono trascrivere....”? La risposta è negli articoli 2650 e 2671. Il primo regola la continuità delle trascrizioni ed avverte che, in mancanza delle trascrizioni precedenti le successive non hanno effetto. Fermo restando, dunque, l'onerosità della trascrizione, il 2650 ci avverte che “si deve trascrivere” pena l'inefficacia. Il secondo sancisce un vero e proprio obbligo, ma non a carico delle parti bensì del Pubblico Ufficiale. Costui è tenuto ad effettuare la trascrizione degli atti prescritti, perchè le conseguenze della sua inattività non resterebbero nell'ambito della disciplina pubblicitaria, ma si estenderebbero alla sua responsabilità professionale e patrimoniale, ovvero disciplinare e civilistica.
Fatta questa premessa di carattere generale occorre rilevare come vi sia una differenza terminologica nei citati articoli, che coinvolge e differenzia gli acquisti tra vivi e mortis causa: 2643: “Si devono rendere pubblici..” (atti tra vivi); 2645: “Deve del pari rendersi pubblico...” (atti tra vivi); 2648, primo comma: “Si devono trascrivere....” (mortis causa); 2648 terzo comma: “....si può richiedere la trascrizione” (mortis causa).
Che valenza dare alla diversa formulazione del citato terzo comma? Fermo restando il principio ermeneutico secondo cui il legislatore mai utilizza una diversa terminologia per puro caso (mi sia consentito rammentare il caso emblematico, a tutti i notai ben noto, circa la differenza tra “sottoscrizione” e “firma” di cui all'art. 51 L.N.), nonché il principio oneroso di tutte le trascrizioni, perchè il legislatore sembra aver scelto un gradino inferiore per le accettazioni tacite di eredità?
Il semplice dato testuale contenuto nell'art.2648 c.c., vale ad escludere il carattere necessario (nella valenza sopra ricordata) alla trascrizione dell'accettazione tacita. La coesistenza all'interno dello stesso articolo di prescrizioni obbligatorie (si devono trascrivere…) e prescrizioni onerose (chi acquista tacitamente può...), non può essere casuale. Tale coesistenza non è certamente frutto di un capriccio immotivato del legislatore, ma è frutto di una intelligente elaborazione del testo, in perfetta armonia con l'intero sistema che si occupa di disciplinare gli acquisti mortis causa per fatti concludenti. Come sarà chiarito più avanti, la risoluzione dei conflitti che coinvolgono acquisti mortis causa, non è rimessa alle sole regole pubblicitarie (come avviene per gli acquisti tra vivi) e, pertanto, così si giustifica la possibilità prevista dal legislatore, in alternativa con la necessità, correlata al perfetto funzionamento dei meccanismi previsti dal 2650 (continuità delle trascrizioni), principi non sempre utilizzabili quando i conflitti coinvolgono acquisti a causa di morte.
In altri termini, qui si sostiene la valenza letterale della norma, contro la diversa impostazione che interpreta la possibilità, data dal legislatore, come una possibilità rivolta non alla volontà della parte, ma al genere di atto da trascrivere. Secondo questa tesi il legislatore ha voluto solo consentire una trascrizione anomala e cioè quella dell'accettazione tacita in base ad un atto (quello di disposizione) che non ha ad oggetto né diretto, né indiretto, l'acquisto dell'eredità, ma solo ne dà la conferma. Ebbene, riesaminando la tecnica usata dal legislatore e la terminologia usata agli articoli 2643 e 2645 c.c. e confrontata con quella di cui all'art.2648, si smentisce la tesi sopra ricordata. 2643: “Si devono rendere pubblici..”; 2645: “Deve del pari rendersi pubblico...”; 2648, primo comma: “Si devono trascrivere....”; 2648 terzo comma: “....si può richiedere la trascrizione”. Se fosse stato solo il riconoscimento della possibilità di trascrivere sulla base di un atto particolare, il legislatore ben avrebbe potuto utilizzare la medesima terminologia già utilizzata nell'avvicinare i casi del 2645 a quelli di base del 2643. L'aver differenziato, l'aver sottolineato la possibilità, non fa altro che confermare la lucidità del disegno complessivo del legislatore che ha intelligentemente elaborato testi codicistici in perfetta armonia con l'intero sistema che si occupa di disciplinare gli acquisti mortis causa per fatti concludenti.
Se, dunque, per le parti è pur sempre un onere (pur nella diversa scala di importanza, ai fini di una completa operatività dei principi sanzionatori di cui al 2650, pienamente applicabile alle provenienze per atti tra vivi e solo parzialmente alle provenienze morti causa, come sarà più avanti chiarito), resta da comprendere se un vero e proprio obbligo alla trascrizione dell'accettazione tacita di eredità possa essere stato previsto non in capo al soggetto interessato (che è solo onerato) ma in capo all'ufficiale rogante. Mi riferisco all'obbligo previsto dalla legge, in tema di trascrizioni, e già sopra in generale trattato, sancito dall'art.2671 c.c.. Il nodo da sciogliere, dunque, è: il notaio – a cui si rivolge il citato art.2671 c.c. - è obbligato ad effettuare la trascrizione tacita dell'eredità nel caso in cui stipuli un atto che comporti, quale logica conseguenza della disposizione immobiliare, l'inequivoca volontà di considerarsi erede? Dalla lettura del citato articolo sembra agevole rispondere negativamente poiché l'obbligo alla trascrizione è circoscritto al solo atto che il notaio ha ricevuto o ha autenticato, e non anche agli atti che – ex lege - ne conseguono quale, appunto, “l'atto” di accettazione tacita di eredità. Ricostruzione letterale confermata da quella sistematica, sol che si consideri il diverso trattamento giuridico che, altrimenti, si avrebbe tra le accettazioni tacite direttamente conseguenti all'atto stipulato e le accettazioni tacite non dallo stesso conseguenti ma, tuttavia, rinvenute nel ventennio e, comunque, mai trascritte. Si può, dunque, superati come sopra i possibili dubbi interpretativi, agevolmente concludere che la trascrizione si conferma un mero onere per la parte interessata e che la parte interessata, in un rapporto traslativo, non è la parte alienante ma quella ricevente, la quale è l'unica ad avere interesse a consolidare il proprio acquisto. Tale ultima affermazione non deve, però, essere fraintesa: non si sta sostenendo che l'onere della trascrizione tacita dell'eredità deve essere ribaltato dalla parte venditrice sulla parte acquirente. Per arrivare a ciò bisognerà superare una serie di ostacoli, tutti affrontati nei successivi paragrafi, al termine dei quali – si anticipa – non si sosterrà la necessità del predetto ribaltamento, bensì la necessità di valutare caso per caso, senza alcuna formula preconfezionata che mal si concilia con una esercizio consapevole dell'attività intellettuale, che siamo chiamati a svolgere.
4 LA CONTINUITA' DELLE TRASCRIZIONI, OVVERO: NON PRODUCONO EFFETTO LE SUCCESSIVE TRASCRIZIONI O ISCRIZIONI A CARICO DELL'ACQUIRENTE
E' questa la paura fondamentale, il motivo di base che ha portato a ritenere essenziale ed indifferibile la trascrizione tacita dell'eredità, ponendola – a mio giudizio – ingiustamente e apoditticamente a carico del dante causa, anche se non coinvolto minimamente dalla vicenda successoria (contro la prassi pluriennale adottata dai notai nei decenni precedenti): la mancanza della continuità delle trascrizioni, che andrebbe a coinvolgere la stabilità dell'acquisto. Occorre, ovviamente, ripercorrere, sia pur brevemente, la disciplina e richiamarne la portata normativa, avvertendo sin da ora che sussiste notevole diversità se nella catena vi sono solo acquisti inter vivos ovvero vi si trovino anche acquisti mortis causa.
La norma è disciplinata dall'art. 2650 c.c.
E' fuori discussione il fatto che il detto articolo disciplini anche il caso in cui una catena di trasferimenti contenga anche un acquisto a causa di morte. Bisogna, però, vedere e considerare come e quando tale disciplina operi in presenza di un acquisto mortis causa.
L'art. 2650 c.c. detta tre regole:
Questo terzo principio, che in apparenza è una eccezione, secondo la formulazione letterale dell'articolo in oggetto, è la vera chiave di volta per comprendere a pieno il funzionamento dell'art.2650. Innanzi tutto occorre ricordare che l'art. 2644 fa espresso richiamo agli atti di cui all'art.2643 (e 2645), tra i quali non c'è l'acquisto a causa di morte. Ne consegue, in armonia con altre norme del sistema, che in caso di acquisto mortis causa o valgono le norme sostanziali (e non quelle sulla pubblicità) oppure valgono norme speciali (ad esempio l'art. 2652 n.7 c.c.).
E' questo un passaggio molto importante da considerare: ritenere, o meno, applicabile l'art.2644 c.c ai titoli mortis causa fa cambiare totalmente la prospettiva, facendo giungere a conclusioni diverse rispetto a quelle qui prospettate. Personalmente ritengo particolarmente convincente quella dottrina che ritiene non applicabile ai trasferimenti mortis causa l'art.2644 c.c. , basandosi sul fatto che non è concepibile l'apertura delle successioni sulla base di due delazioni, e che quando vi sia un conflitto del genere lo stesso debba essere risolto non già ricorrendo a criteri diversi (quelli sulla pubblicità) rispetto ai criteri propri del diritto successorio (diritto sostanziale 680 e 682 c.c.) e che, conseguentemente, prevale l'ultimo chiamato e non il primo che ha trascritto. Ed infatti, in applicazione di detto principio, che è volto a garantire il favor testamenti, né l'art. 2643 c.c. né l'art. 2645 c.c. (a cui rinvia l'art.2644 c.c.) contengono casi riconducibili ai trasferimenti mortis causa. Sarebbe veramente frustrante per il cittadino sapere che la sua ultima volontà potrebbe essere sottomessa a mere regole pubblicitarie, mentre è assolutamente diverso il caso di un medesimo dante causa, tra vivi, che trasferisca a due diversi sub acquirenti: qui gli interessi in gioco sono ben diversi, e ben si comprende come il conflitto sia da risolvere sulla base delle regole non sostanziali ma pubblicitarie
Detto ciò, esaminiamo le conseguenze di questa affermazione, studiando i meccanismi e partendo dai trasferimenti inter vivos. A vende a B (vendita non trascritta). B vende a C e poi a D (vendite trascritte). Gli acquisti di C e D non sono efficaci (cioè non sono opponibili ai terzi).
C trascrive per primo.
C prevale su D, ma non per un principio legato alla pubblicità, poiché le loro trascrizioni sono inefficaci data la mancanza della continuità, ma perchè qui si fa applicazione della norma di cui al 1376 c.c.: C ha comprato a domino; D ha acquistato a non domino. L'esito non cambierà una volta sanata la continuità delle trascrizioni. Ciò significa che C non ha interesse a sanare la continuità delle trascrizioni.
Se, invece, D trascrive prima di C egli, potenzialmente soccombente, prevarrà su C una volta sanata la continuità, in applicazione del principio sopra enunciato al n.2 (effetto di prenotazione).
Quindi è di tutta evidenza che è interesse del secondo avente causa da B sanare la continuità delle trascrizioni (e quindi l'acquisto di B da A), per rendere certo e sicuro il proprio personale acquisto. Con l'esempio appena fatto ben si comprendono i principi sopra elencati ai nn. 1 e 2.
Per comprendere il principio n.3 si deve supporre una fattispecie più complessa.
A vende a B (non trascritta ma trascritta tardivamente il 21 settembre); A vende a X (trascritta il 20 settembre). B vende a C (trascritta il 10 settembre).
Si ha un conflitto tra X e C. Tale conflitto è tra due aventi causa da due diversi danti causa: A (che è quello che ha venduto 2 volte) non è comune dante causa di X e di C. Non potendosi fare applicazione dell'art.2644, il conflitto tra C e X non può essere risolto a favore di C per il fatto che costui ha trascritto prima di X. Fino al 21 settembre (giorno in cui viene sanata la continuità con la trascrizione della prima vendita), infatti, tutte le trascrizioni successive a quelle contro A sono inefficaci. Quando la continuità sarà sanata, e cioè il 21 settembre, si andranno a confrontare le date di trascrizione contro A. Prevarrà B o X? Poiché è il semplice caso di conflitto prima esaminato, sappiamo che prevarrà X, saranno contro costui soccombenti tutte le successive alienazioni di B, e quindi l'acquisto di C soccomberà verso X.
Non per un confronto diretto e immediato, bensì indiretto e mediato.
Non è più un confronto tra due aventi causa ma tra due diverse catene! La prima catena è A—B – C La seconda catena è A – X. E' irrilevante che C abbia trascritto prima di X, perchè il loro conflitto non rientra nel paradigma di cui al 2644 c.c.
Il principio si conferma anche rendendo più complesse le catene:
1) A – B – C. ….......B – D; 2) A – X – Z. …...... X – Y.
All'interno delle catene 1 e 2, varrà il principio dell'effetto della prenotazione:
C confligge con D. Z confligge con Y.
Supponendo la prevalenza di D ed Y, chi tra loro prevarrà? Stante il fatto che non hanno un comune autore, bisognerà risalire al punto in cui le 2 catene si sono biforcate e cioè al momento delle trascrizioni contro A. Dunque per risolvere il conflitto tra gli ultimi aventi diritto (D ed Y) è necessario far prevalere una catena rispetto all'altra!
Tutto ciò non è altro che applicazione del principio sopra elencato al n.3: essendosi sanata per prima (2644) la catena n.2, sarà Y a prevalere.
Con quanto sopra detto è possibile confermare la natura di onere della trascrizione, rispondendo alla domanda di cui al superiore capitolo: chi ha interesse a sanare la continuità delle trascrizioni? Non chiunque (rendendo la trascrizione un automatismo apodittico), ma solo uno dei due soggetti in conflitto.
In una unica catena abbiamo già visto che è il secondo avente causa dal medesimo dante (principio della prenotazione): A – B. ….. B – C. ….. B – D. Sanare l'acquisto di B contro A non è interesse B, ma lo è di C e D.
Quando, invece, le catene si sdoppiano: 1) A – B – C. ….......B – D; 2) A – X – Z. …...... X – Y, l'interesse a sanare tempestivamente è di D e di Y (D è interessato a sanare prima di Y il trasferimento fra A e B; Y è interessato a sanare prima di D il trasferimento fra A e X).
Questo meccanismo opera egregiamente in presenza di trasferimenti inter vivos.
E finalmente andiamo, ora, ad osservare i casi in cui la catena viene toccata da un acquisto mortis causa. In presenza di un acquisto mortis causa il principio n. 3 (quello legato alla priorità delle trascrizioni ex art. 2644 c.c.), che tanto bene dirime i conflitti nelle pure ipotesi inter vivos, non potrà operare, ferma restando – invece – l'operatività dei principi nn. 1 e 2.
Come sopra ricordato, considerazioni di carattere generale fanno propendere per l'inapplicabilità dell'art.2644 ai trasferimenti mortis causa.
Si supponga la catena semplice:
oppure:
oppure:
Si tratta del conflitto tra erede o legatario vero (B) contro erede o legatario apparente (A), o del conflitto tra avente causa dal de cuius (B) contro erede o legatario apparente (A). In tutti questi casi il conflitto tra A e B si risolve in base al diritto sostanziale. Il testatore ha diritto di revocare le proprie disposizioni o espressamente (680, 682) o tacitamente (a mezzo sua disposizione per atto tra vivi). Quindi (B) non ha alcun interesse a sanare la trascrizione del suo acquisto mortis causa, perchè prevarrà, in ogni caso, contro (A). D'altro canto, la solerzia di (A) nel trascrivere il proprio acquisto mortis causa prima di (B), non produrrà alcun effetto positivo, perchè le norme di diritto sostanziale dispongono che (B) prevarrà in ogni caso.
Quando la catena si allunga (B vende a C) il legislatore ha ritenuto di dover considerare alcune situazioni (gratuità, onerosità, buona fede, presunzione o prova della stessa, tempo della trascrizione), offrendo protezione a casi che ha ritenuto meritevoli di tutela. Sono i casi di cui al successivo capitolo n.4.
Resta il caso in cui la catena si sdoppia. 1) de cuius A – B – C. ….................... B – D; 2) de cuius A – X – Z. ….................... X – Y.
In tal caso D è interessato a sanare prima di Y il trasferimento mortis causa fra A e B? Correlativamente, Y è interessato a sanare prima di D il trasferimento mortis causa fra A e X?. La risposta è NO. Perchè lo sdoppiamento delle catene avviene a livello del de cuius e, come si è visto, non vale la priorità delle trascrizioni ma l'effettivo acquisto a domino (di B o di X).
Ed allora, nel caso in cui la catena di trasferimenti contenga una successione, chi ha interesse a sanare la continuità delle trascrizioni?
Provo perciò ad affermare il principio, praticamente contrastante con l'attuale tendenza generalizzata, secondo cui non è l'erede a dover sopportare gli oneri legati alla trascrizione dell'accettazione tacita dell'eredità, bensì il successivo o i successivi aventi causa, che potranno farvi fronte oppure – in base alle concrete situazioni passate ed a quelle probabili e future – decidere di non farvi fronte, perchè ritengono sicuro il proprio acquisto. In altri termini, l'acquirente o il sub acquirente che troverà nella storia immobiliare un acquisto mortis causa (giustamente) trascurato dall'erede e (scientemente) trascurato dagli aventi causa successivi, potrà parimenti decidere se continuare a trascurarlo oppure farvi fronte per impedire altri dannosi inconvenienti, ritenuti possibili o probabili.
Si fa, dunque strada il principio (o si dovrebbe meglio dire: “riprende il vigore il vecchio principio applicato dal notariato risalente”) secondo cui la trascrizione dell'accettazione tacita non è affatto obbligatoria, ed in particolar modo non lo è a carico dell'avente causa a titolo di morte.
Il malessere che serpeggiava nello scenario, all'inizio descritto, viene a mancare. L'erede sente che non è un suo obbligo. L'avente causa a titolo oneroso, se ben informato, sente che è cosa sua, e potrà decidere se sanare la continuità o meno.
E sulla base di cosa?
Certamente sulla base dei possibili inconveniente cui – solo lui – potrebbe andare incontro, o sulla base dell'opportunità.
La decisione positiva basata sull'opportunità è legata alla necessità di ottenere un mutuo ipotecario. Le banche vogliono una ipoteca che sia immediatamente validamente costituita, e non solo potenzialmente tale, con una successiva sanatoria della continuità delle trascrizioni. D'altra parte, la natura costitutiva dell'iscrizione giustifica la richiesta degli istituti mutuanti: in mancanza di continuità di trascrizioni la garanzia reale non solo è inefficace, ma addirittura inesistente. Pertanto, chi acquista con un mutuo da un erede – o chi ha in progetto di richiederlo dopo il suo acquisto - capirà che dovrà sostenere i costi per far realizzare quella continuità delle trascrizioni, a cui solo lui ha interesse.
Si potrebbe discutere, come qualcuno ha sostenuto, che il venditore ha l'obbligo di presentarsi con le carte in regola. Ma, a ben vede, ed a mio avviso, la mancanza della continuità delle trascrizioni non è un difetto del bene, proprio perchè onere e non obbligo; e l'onere è a carico solo di chi ha interesse a soddisfarlo. Si è visto che tale interesse è sempre fuori dalla sfera giuridica dell'erede. Riprenderò questo specifico argomenti al successivo capitolo dedicato alla garanzia per evizione.
Restano ora da vedere gli altri possibili inconvenienti che potrebbero far decidere l'acquirente immediato (oppure il sub acquirente), sulla opportunità o meno di sanare la catena delle trascrizioni con la trascrizione dell'accettazione tacita dell'eredità del proprio dante causa immediato (o anche di quello remoto).
5. CONFLITTO TRA L'AVENTE CAUSA DALL'EREDE APPARENTE CONTRO L'EREDE O IL LEGATARIO VERO
Per l'avente causa da un erede un primo, temibile, inconveniente può essere il timore di acquistare da un erede apparente e quindi scontrarsi, con il rischio di soccombere, contro l'erede o legatario vero. E' un caso in cui non vi è conflitto tra 2 aventi causa da un medesimo dante causa. Quindi non potrà farsi applicazione dell'art. 2644 c.c. E, anche un caso in cui non si tratta di omogenei acquisti per atto tra vivi, ma di un conflitto ove viene in considerazione un acquisto mortis causa. Secondo quanto prima detto, vista la non utilizzabilità delle norme generali sulla pubblicità, sembrerebbe doversi fare ricorso solo alle norme di diritto sostanziale. Ma non è così. Sussistono norme speciali, a tutela di interessi che il legislatore ha ritenuto meritevoli.
Gli articoli speciali che regolano il conflitto sono: 2652 n.7 c.c. e 534 c.c.
Il legislatore ha ritenuto che l'avente causa dall'erede apparente vada tutelato contro l'erede o il legatario vero più specificamente di quanto non vada tutelato contro l'avente causa dall'erede o legatario vero.
Si riprenda, infatti, la doppia catena esaminata al capitolo precedente.
1) de cuius A – B – C. ….................... B – D; 2) de cuius A – X – Z. ….................... X – Y.
Al capitolo 4 si è esaminato il modo di risolvere il conflitto tra D ed Y (avente causa dall'erede vero contro avente causa dall'erede apparente, ovvero avente causa a domino contro avente causa a no domino). Viene, ora, in considerazione il conflitto tra D ed X, e cioè il caso di conflitto tra avente causa da erede apparente ed erede o legatario vero.
Sia detto per inciso: in queste riflessioni, volte ad approfondire il tema della trascrizione della accettazione tacita dell'eredità, non si terrà conto del legatario apparente (e quindi del conflitto tra l'avente causa dal legatario apparente e l'erede o il legatario vero), posto il combinato disposto degli articoli 649, 2685 e 2671 del c.c. che postulano, comunque, una trascrizione necessaria del testamento (che si rivelerà fonte apparente), mentre invece la trascrizione dell'accettazione tacita dell'eredità (che è onere) è spesso trascurata, perchè è lo stesso erede a non averne nessun interesse, posto che, come sopra si è visto, l'erede risolve i suoi conflitti con altri eredi o legatari al di fuori delle norme sulla pubblicità. Viene, invece, in considerazione il lagatario vero, se viene in conflitto con l'avente causa dall'erede apparente.
Detto ciò, è' possibile riprendere la nostra riflessione ricordando i casi in cui una persona sia erede solo apparentemente:
Ebbene, quale la sorte degli aventi causa dall'erede apparente contro l'erede o legatario vero? Come già detto, il legislatore ha ritenuto che l'avente causa dall'erede apparente vada tutelato contro l'erede o il legatario vero più di quanto non vada tutelato contro l'avente causa dall'erede o legatario vero (caso precedente, par.4), per questo il conflitto è stato regolato da norme del tutto speciali.
L'art. 2652 n.7, stabilisce che “Salvo quanto è disposto dal secondo e terzo comma dell'art. 534....” Significa che per prima cosa bisogna vedere se ricorrono le condizioni di cui al 534, solo dopo si farà applicazione del disposto dell'art. 2652 n.7. In caso positivo, dunque, prevarrà quanto disposto dall'art.534 c.c., senza prendere in considerazione l'art.2652 n.7, altrimenti quest'ultima norma opererà come norma residuale.
Ed allora, l'art. 534 dispone che i diritti acquistati a titolo oneroso dall'erede apparente sono salvi se il terzo provi di avere contrattato in buona fede.
Ma non basta. Se si tratta di acquisto di diritti immobiliari (o di mobili registrati), affinchè il secondo comma del citato art. 534 possa avere applicazione (rendendo salvo l'acquisto del terzo che provi di aver contrattato in buona fede), è necessario anche che ricorrano altre condizioni, e precisamente:
Ricorrendo tutte queste condizioni (compresa la buona fede provata) chi acquista dall’erede apparente prevale e fa salvo il proprio acquisto. Prevale l'erede vero sol che abbia trascritto prima!
Ai nostri pratici fini, per valutare l'opportunità di sanare la continuità (posto che il nostro acquirente rischi di acquistare da erede o legatario apparente), appare importante fare effettuare dal compratore e tempestivamente anche la trascrizione tacita dell'eredità, per evitare che questa sia preceduta dalla trascrizione di una domanda giudiziale, che vanifichi la prevalenza disposta dall'art. 534 c.c.
La fattispecie disciplinata dall'art. 2652 n.7 è diversa: qui si dispone che l'avente causa dall'erede apparente prevale contro chi contesta l'acquisto mortis causa, se l'acquisto è stato trascritto (o se è stata iscritta ipoteca) almeno 5 anni prima della trascrizione della domanda giudiziale che contesta l'acquisto a causa di morte.
Ovvero, detto in termini inversi: prevale l'erede vero solo se ha trascritto la sua domanda giudiziale entro i 5 anni dalla trascrizione dell'avente causa dall'erede apparente! Con una tutela peggiorativa rispetto al caso disciplinato dall'art. 534 c.c..
La differenza con il caso contemplato dal 534 c.c. sta nel tipo di acquisto, che può essere anche a titolo gratuito, e nella buona fede che non deve essere provata ma si presume. Questi due elementi tendono a far diminuire il grado di tutelabilità. Nella valutazione del legislatore chi acquista a titolo oneroso e con buona fede provata ha diritto ad una maggiore tutela e, dunque, prevale se ha trascritto anche un giorno prima della domanda giudiziale. Viceversa, la sussistenza della gratuità, oppure della onerosità ma con semplice presunzione di buona fede, fa sì che il legislatore abbia sentito la necessità di far prevalere l'avente causa dall'erede apparente solo nel caso in cui la sua trascrizione abbia una precedenza qualificata, ovvero di oltre 5 anni rispetto a quella della domanda giudiziale.
Quindi, attenzione: dal punto di vista delle ispezioni ipotecarie, il termine di 5 anni non è rivolto alla domanda giudiziale in sé, né è rivolto alla data dell'apertura della successione, sicchè una eventuale domanda deve intervenire entro 5 anni dalla detta apertura, ma è – invece - rivolto alla differenza di tempo che deve trascorrere tra la trascrizione dell'acquisto dall'erede apparente e la trascrizione (successiva) della domanda giudiziale. Non è corretto, perciò, affermare che: se nei 5 anni, precedenti il progettato acquisto, non si trovi alcuna domanda giudiziale trascritta, l'acquisto può ben essere fatto poiché l'avente causa sarebbe al sicuro. Tale conclusione si fonda, come detto, su un errore di prospettiva e di corretta analisi del dettato codicistico.
Schematicamente il caso disciplinato dal 2652 n.7:
Si noterà come in questo elenco manchi la trascrizione dell'acquisto mortis causa. Il 2652 n.7 non lo indica come condizione per la salvaguardia del diritto dell'avente causa. Significa, forse, che se ne potrà fare a meno? Certamente no. Si farà applicazione dell'art.2650 c.c.: affinchè la trascrizione dell'avente causa dall'erede apparente possa prevalere, questa deve essere efficace e deve avere efficacia con 5 anni di anticipo rispetto alla trascrizione della domanda giudiziale; e sarà efficace solo se verrà sanata la continuità delle trascrizioni con la trascrizione dell'acquisto, anche tacito, mortis causa!
Ai nostri pratici fini, per valutare l'opportunità di sanare la continuità, appare importante, in presenza di un acquisto a titolo oneroso con buona fede solo presunta o a titolo gratuito da un erede (che magari si rivelerà apparente), fare effettuare anche la trascrizione tacita dell'eredità, per evitare che il detto acquisto, la cui trascrizione è temporaneamente inefficace, possa essere sopraffatto dalla trascrizione di una domanda giudiziale che intervenga entro 5 anni dalla (efficace) trascrizione precedente.
6. CONFLITTO TRA L'AVENTE CAUSA DALL'EREDE APPARENTE CONTRO L'AVENTE CAUSA DALL'EREDE O LEGATARIO VERO
Un altro caso di timore per chi acquista da un erede è quello di confrontarsi, con il rischio di soccombere, contro l'avente causa dall'erede vero. Il caso del precedente capitolo n.5 era quello del conflitto, disomogeneo, tra avente causa da erede apparente contro erede vero.
Il caso attuale è, invece, quello del conflitto tra due aventi causa per atto tra vivi: l'avente causa dall'erede apparente contro l'avente causa dall'erede vero.
Pertanto, due danti causa diversi: l'erede o legatario vero e l'erede o legatario apparente (e, ovviamente, due diversi aventi causa, tra loro in conflitto).
Per capire come risolvere questo particolare conflitto, è necessario ricordare che le norme per prima esaminate (534, 2752 n.7) sono norme speciali, pensate proprio per risolvere i casi ivi previsti, con discipline che si discostano dai principi generali sulla pubblicità e che si basano su elementi diversi da quelli tipici della pubblicità stessa : la buona fede, la prova o la presunzione di essa, l'arco temporale di 5 anni, la natura onerosa o gratuita dell'acquisto.
In assenza di tali norme speciali, il conflitto tra avente causa da erede o legatario apparente ed avente causa da erede o legatario vero, trattandosi di acquisti per atto tra vivi, sembrerebbe doversi risolversi sulla base dei principi generali in tema di pubblicità. Sembrerebbe potersi rifare alle modalità di risoluzione dei conflitti tra appartenenti a 2 diverse catene, descritto al capitolo n.4, prima parte. Senonchè è evidente che, risalendo al comune dante causa, troviamo un solo de cuius, e 2 trasferimenti a causa di morte.
Il legislatore non ha previsto alcuna norma pubblicitaria speciale. Si torna, dunque, all'applicazione dei principi generali di diritto sostanziale, sopra ricordati nella seconda parte del capitolo n.4.
Poniamo 2 catene 1) de cuius A – B (erede apparente) – C (avente causa da erede apparente).
….................X (erede vero) – Y (avente causa da erede vero)
In tal caso. C è interessato a sanare prima di Z o Y il trasferimento mortis causa fra A e B? Correlativamente, Z o Y sono interessati a sanare prima di C il trasferimento mortis causa fra A e X?. La risposta è NO. Perchè lo sdoppiamento delle catene avviene a livello del de cuius e, come si è visto al capitolo n.4, non vale la priorità delle trascrizioni ma l'effettivo acquisto a domino (di X).
Ed allora, chi ha interesse a sanare la continuità delle trascrizioni? Non certo i diretti aventi causa dal de cuius (nè B né X), bensì i successivi aventi causa, secondo i principi dei trasferimenti tra vivi, ma sempre all'interno della medesima catena! Ossia Z contro Y; ma, in ogni caso Z prevarrà comunque contro C, perchè la sua è la catena a domino, per diritto sostanziale, anche se non è sanata.
Ai nostri pratici fini, Z potrebbe ben decidere di non effettuare la trascrizione tacita dell'eredità di A, a meno che non tema, all'interno della sua stessa catena, un qualche inconveniente legato ad un altro avente causa da X, oppure un conflitto diretto con un erede o legatario che si dimostrerà essere realmente vero (caso di cui al superiore capitolo 5).
7.CONFLITTO TRA L'AVENTE CAUSA DALL'EREDE E AVENTE CAUSA DAL DE CUIUS
Alla luce di quanto chiarito nei paragrafi precedenti, il caso qui esaminato dovrebbe essere di facile comprensione e soluzione. Si sono, tuttavia, succedute – anche per questo caso – tutta una serie di variegate teorie, anche autorevolmente sostenute, ma che non possono essere tutte condivise. Una sola di queste a me sembra in armonia con il sistema, l'unica che merita di potere essere accettata e condivisa. Secondo una prima ricostruzione, nel conflitto tra avente causa dall'erede e avente causa dal defunto, prevale chi per primo trascrive. Se così fosse, l'avente causa dall'erede avrebbe tutto l'interesse a trascrivere non solo immediatamente, ma anche a rendere efficace la propria trascrizione (ex art. 2650 c.c.) trascrivendo, com'è suo onere, anche l'accettazione tacita dell'eredità del proprio dante causa. Secondo questa teoria, l'avente causa dall'erede prevale sia nel caso in cui abbia trascritto prima non solo il proprio acquisto ma anche l'accettazione tacita del proprio dante causa, ed anche nel caso in cui abbia trascritto prima il proprio acquisto, seguito dalla trascrizione dell'acquisto dal de cuius, con successiva trascrizione dell'accettazione tacita dell'erede apparente a favore del sua avente causa. In sostanza, si sostiene che la trascrizione (immediatamente efficace) dell'avente causa dal de cuius soccombe contro una trascrizione (temporaneamente inefficace), che però, giusta l'effetto prenotativo di cui al 2650, acquisterà efficacia con la sanata continuità delle trascrizioni, avendo acquisito data precedente rispetto alla trascrizione contro il de cuius. Ebbene, tale ricostruzione non può essere condivisa poiché tenta di fare applicazione al nostro caso di un principio, quello sancito dall'art.2644 c.c., che è stato pensato e scritto per dirimere le controversie tra due aventi causa da un medesimo dante causa, il cui acquisto non sia stato ancora trascritto. E' questo un caso in cui gli interessi in gioco sono del tutto omogenei e che, correttamente, viene risolto sulla base del principio temporale della priorità delle trascrizioni. Cercare di superare questa asimmetria, sostenendo che erede e de cuius hanno la medesima personalità giuridica, non è soddisfacente, perchè se il de cuius ha venduto in vita, “l'erede” non è erede! E non vi è, quindi, unificazione di personalità. Il conflitto andrà risolto non sulla base delle norme pubblicitarie, ma sulla base di quelle di diritto sostanziale; come prima ricordato, chi acquista dal de cuius prevale perchè l'altro acquista a no domino! Una seconda teoria tenta di superare le posizioni disomogenee, sopra evidenziate, rendendole omogenee. Sto facendo riferimento alla qualità delle trascrizioni: non più una immediatamente efficace contro un'altra che acquisterà efficacia dopo sanata la continuità, bensì due trascrizioni immediatamente entrambe efficaci. In tal caso, si sostiene, prevale quella per prima effettuata, facendo – nuovamente – applicazione del principio di cui all'art.2644 c.c. Affinchè le due trascrizioni da confrontare possano essere immediatamente efficaci è necessario che anche la trascrizione dell'accettazione tacita sia stata trascritta e, soltanto nel caso in cui sia questa trascrizione sia l'acquisto “dall'erede” siano avvenute prima della trascrizione dal de cuius, si avrà la prevalenza del primo sul secondo. Questa teoria, per superare l'eccezione secondo cui nel presente caso non saremmo di fronte a due aventi causa da un medesimo dante causa, fa leva sul principio della continuità della personalità giuridica del defunto: qui non saremmo di fronte a due autori (l'erede ed il defunto) ma di fronte ad un unico autore (il defunto) perchè entrambe le trascrizioni “contro”, sarebbero contro costui. Tuttavia sembrano più convincenti le osservazioni secondo cui in primo luogo non c'è alcuna evidenza, nel sistema della pubblicità delle trascrizioni, di un principio secondo cui affinchè una trascrizione, per avere valore prenotativo, debba essere preventivamente efficace, in secondo luogo non è possibile negare che la prosecuzione della personalità giuridica del defunto, con la conseguente parificazione soggettiva di erede e de cuius, sia – sul piano pubblicitario – una mistificazione evidente, perchè erede e de cuius sono soggetti anagraficamente diversi (se pur sostanzialmente uguali) e che ognuno, sul piano pubblicitario, ignora l'altro. Le due teorie sopra riportate falliscono l'obiettivo perchè tentano di fondare la soluzione del conflitto basandosi sui principi pubblicitari. Ma il sistema pubblicitario non viene in aiuto, perchè è ideato e scritto per risolvere conflitti che non siano già risolti dal diritto sostanziale. Ed il diritto sostanziale già vale a risolvere il conflitto che qui ci occupa: a) il defunto che aliena prima del suo testamento, non può disporre per testamento di un bene non più suo; b) il defunto che aliena dopo il suo testamento effetua una revoca tacita della disposizione testamentaria. Pertanto il presunto erede non è erede neppure apparente. Egli non è dominus bensì non domino e, pertanto, chi acquista dal defunto prevale sempre, a prescindere da qualsiasi meccanismo pubblicitario. In tal senso la trascrizione dell'accettazione tacita dell'eredità non servirà mai a consolidare l'acquisto dall'erede, rivelandosi – pertanto – inutile o ininfluente. Chi contrasta tale ultima, preferibile, ricostruzione adduce un inconveniente pratico: come può essere che un terzo che acquisti in buona fede da un erede venga a perdere il proprio diritto di fronte all'avente causa dal de cuius, anche in totale assenza di trascrizione a suo favore? Ebbene, adducere inconveniens non est solvere argumentum. Se la legge sostanziale fa prevalere chi acquista dal defunto, bisogna solo prenderne atto. D'altronde nessuno si stupisce della chiara prevalenza di chi acquista dal defunto verso l'erede: è il caso della revoca tacita del testamento. Ebbene, se l'erede soccombe, perchè non dovrebbe soccombere l'avente causa dall'erede?
Ai nostri pratici fini, l'avente causa dall'erede deciderà di non effettuare la trascrizione tacita dell'eredità perchè sa che, in ogni caso, soccomberà contro l'avente causa dal defunto.
8. MANCATA OPERATIVITA' DELLA PUBBLICITA' SANANTE
Un tipico timore che potrebbe coinvolgere l'avente causa di un soggetto che sia, a sua volta, avente causa a titolo di morte o che abbia, nella sua catena di titoli derivativi, una o più successioni accettate tacitamente ma prive della relativa trascrizione, è quello legato al rischio di non potersi, legittimante, avvalere del rimedio della pubblicità sanante, di cui all'art. 2652 n.6 del c.c.
Quest'ultima norma prevede tre ipotesi: a) una prima caratterizzata dall’atto di provenienza nullo, oppure annullabile per incapacità legale; b) una seconda caratterizzata dall’atto di provenienza annullabile per motivo diverso dalla incapacità legale; c) infine un terza ipotesi caratterizzata da atto di provenienza sostanzialmente valido ma trascritto in modo invalido (invalidità della trascrizione). Questo terzo caso, coinvolgendo ipotesi di difetto di trascrizione e non di titolo, si pone al di fuori della fattispecie che qui si tratta.
I primi due casi, invece, possono preoccupare non poco l'acquirente, il quale potrebbe chiedersi se, di fronte ad una trascrizione non efficace del proprio dante causa (per la tipica mancanza di continuità, ex art. 2650 c.c.), il dies a quo della stessa trascrizione sia o meno valido a far partire il termine dal quale decorrerà il quinquennio, sulla scorta del quale l'eventuale difetto di nullità o di annullabilità andrebbe a pregiudicare o meno i diritti acquistati dallo stesso acquirente a titolo oneroso ed in buona fede.
La risposta non può che essere positiva. Se è vero che chi intende contestare la validità di un atto è tenuto a confrontare la data della trascrizione della sua domanda giudiziale con la data dell'atto nullo o annullabile che va a contestare, è evidente che le due trascrizioni devono essere egualmente poste sullo stesso piano, e così egualmente valide ed efficaci. Se, pertanto, chi acquista rinviene nella catena dei titoli derivativi del proprio dante causa sia un atto invalido (nullo o annullabile) sia una accettazione tacita di eredità non trascritta, avrà tutto l'interesse – sempre nell'ottica dell'onere, quale comportamento cautelativo da adottare per la salvaguardia dei propri diritti – a curare al più presto la trascrizione delle accettazioni tacite non già effettuata, il che, rendendo efficace la trascrizione dell'atto invalido sin dal giorno della sua effettiva trascrizione, renderà possibile la salvaguardia dei propri diritti se fossero già trascorsi i 5 anni previsti dal n. 6 dell'art. 2652 c.c. In tale prospettiva e per tale finalità, il valido ausilio del notaio chiamato a rogare l'atto di acquisto, si rivelerebbe fondamentale, sia nella valutazione circa la validità\invalidità dei titoli precedenti, sia nell'esame dei registri immobiliari volta a garantire la sussistenza o meno di trascrizioni pregiudizievoli, sia – infine – nell'accertamento dei termini comparati tra due trascrizioni confliggenti. Ovvio che tale valutazione deve informarsi alla massima prudenza e il diligente professionista mai dovrà trascurare gli aspetti pubblicitari di cui sopra ma – altrettanto diligentemente e professionalmente, pena un pesante svilimento dell'attività intellettuale – mai dovrà appiattirsi all'automatica, sempre ed in ogni caso dovuta, trascrizione dell'accettazione tacita dell'eredità, anche in assenza, neppur lontani, di indizi di pericolosità nella catena di titoli derivativi dell'attuale dante causa.
9.POSSIBILITA' DI EFFETTUARE VALIDA PUBBLICITA' (ISCRIZIONE, TRASCRIZIONE O ANNOTAMENTI) ANCORA CONTRO IL DEFUNTO
Ancora un possibile inconveniente, da tenere presente allorchè ci si appresti a valutare l'opportunità di eseguire una trascrizione dell'accettazione tacita , è quello legato alla reale possibilità che contro il defunto possano essere effettuate valide formalità pubblicitarie. Tale eventualità, spesso trascurata perchè ritenuta impossibile, è invece una precisa possibilità offerta, in alcuni specifici casi, dal nostro ordinamento. Si pensi ai casi delle formalità che devono essere eseguite a seguito di attività svolte sulla base dei poteri concessi dagli articoli 460, 529 e 703 c.c. Se il chiamato agisce prima dell'accettazione non è erede. Parimenti non lo sono né il curatore dell'eredità giacente né l'esecutore testamentario. Le attività negoziali svolte da questi soggetti, se comportanti diritti reali su immobili, vanno, dunque, trascritte contro il defunto. Fin qui nessuna interferenza con il tema che ci occupa, poiché, come sopra più volte ricordato, l'avente causa dal defunto (anche se ad operare materialmente sia il “chiamato”, “l'esecutore” o il “curatore”) prevale in ogni caso verso qualunque altro avente causa. Inoltre si è voluto semplicemente rammentare come, contro il defunto, sia possibile e lecito eseguire formalità pubblicitarie. Il problema del possibile inconveniente contro un avente causa si presenta, invece, in materia di iscrizioni ipotecarie. Quid iuris nel caso in cui il terzo sub acquirente dall'erede vero (per fare il caso dell'acquisto più sicuro) abbia a confliggere con una iscrizione ipotecaria contro il defunto, effettuata dopo la sua morte? Normali ispezioni ipotecarie porterebbero a trascurare, dopo la morte del defunto, le ulteriori formalità contro costui. L'avente causa dall'erede, pertanto, si troverebbe a dover fronteggiare un diritto di ipoteca a lui sconosciuto al momento dell'acquisto. Quali le conseguenze?
Le norme a cui si fa riferimento sono gli articoli 2829, 2851 e 2772 c.c.
La prima delle norme citate si riferisce alle normali ipotesi di ipoteca volontaria concessa dal defunto, ma è anche possibile che si realizzi una iscrizioni di ipoteca giudiziale. La seconda detta le regole per una valida rinnovazione che, si badi, va fatta anche (e non solo) contro gli eredi che abbiano trascritto il proprio acquisto, ma comunque e in ogni caso contro il defunto. La terza detta regole particolari sul privilegio dello stato per crediti a garanzia di tributi indiretti. Orbene, può accadere che il defunto, in vita ovviamente, abbia concesso ipoteca che, per qualsiasi ragione, venga iscritta su di lui, dopo la sua morte, oppure abbia dato luogo a ragioni per far iscrivere ipoteca giudiziale, pure questa effettuata dopo la sua morte. L'art. 2829 ci dice che queste sono valide iscrizioni. Vista questa possibilità, le ispezioni ipotecarie non possono essere (se non colpevolmente) interrotte contro il defunto, ma devono proseguire fino al giorno più recente rispetto all'atto da stipulare. Se, in tale circostanza, venga rilevata un'ipoteca, la si tratterà come una normale formalità pregiudizievole gravante sul bene. Ancora una volta, dunque, nessun problema. La problematica, invece, sorge in tutta la sua complessità, qualora l'ipoteca venga iscritta contro il defunto, ma dopo la trascrizione dell'acquisto del terzo dall'erede. Cosa accade se è stata trascritta anche l'accettazione tacita dell'eredità prima dell'iscrizione ipotecaria? Cosa accade se è stata trascritta anche l'accettazione tacita dell'eredità ma solo dopo l'iscrizione ipotecaria?
Partendo dalla considerazione che il legislatore ha voluto concedere una semplificazione al creditore che, dopo la morte del concedente, non deve essere tenuto alla ricerca di eredi per far valere il proprio diritto all'ipoteca, si conclude che il sistema pubblicitario ben esercita i propri scopi, con la mera applicazione dei principi generali, che qui non fanno eccezione. Se, dunque, chi aveva diritto all'ipoteca non lo ha esercitato ed ha iscritto dopo la trascrizione sia dell'acquisto del terzo sia dell'accettazione tacita, allora il creditore ipotecario soccomberà. Se, parimenti, il creditore ipotecario aveva l'onere di rinnovare sia contro il defunto che contro gli eredi che abbiano trascritto il loro acquisto, ed abbia trascurato o l'una o l'altra dei contenuti necessari della formalità, egli soccomberà verso chi abbia, medio tempore, acquistato e trascritto efficacemente (con l'avvenuta trascrizione dell'accettazione tacita). Il creditore ipotecario prevarrà, invece, tutte le volte in cui abbia esercitato il proprio diritto all'ipoteca prima di qualsiasi altra trascrizione, in conformità ai principi generali sulla pubblicità. Ed allora si appalesa un ulteriore, reale, inconveniente che l'avente causa dall'erede è chiamato a valutare: è il caso o no di rischiare l'esistenza di un diritto all'ipoteca che si traduca in un diritto di ipoteca per lui pregiudizievole? Stante il principio speciale, sancito dal secondo comma dell'art. 2829 c.c., secondo cui l'ipoteca va iscritta contro gli eredi che abbiano trascritto il loro acquisto, l'unico modo per consolidare l'acquisto del terzo è quello di far trascrivere non solo tale diretto acquisto prima dell'iscrizione ipotecaria, ma anche l'acquisto degli eredi dal de cuius, realizzando una pubblicità efficace ed anteriore rispetto a qualsiasi successiva iscrizione ipotecaria. A medesima soluzione non può giungersi con riferimento al privilegio speciale dello Stato, sulla base di quanto sancito dall'art.2772 c.c Quest'ultimo articolo, al fine di risolvere i conflitti tra lo Stato, titolare del privilegio, ed il terzo che abbia acquistato diritti sugli immobili, non si rifà alle regole sulla pubblicità – e giustamente – poiché il privilegio sorge a prescindere da qualsiasi formalità, ma per il solo fatto dell'esistenza del credito. Pertanto i principi pubblicitari non possono essere utilizzati per dirimere le controversie. Accade, così, che l'art. 2772 stabilisca dei principi speciali, autonomi, e scollegati dal sistema pubblicitario: si limita a prescrivere che “Il privilegio non si può esercitare in danno dei diritti dei terzi che hanno anteriormente acquisito diritti sugli immobili” ed ancora: “Per le imposte suppletive il privilegio non si può neppure esercitare in pregiudizio dei diritti acquistati successivamente dai terzi.” La regola dirimente è, pertanto, il momento dell'acquisto del diritto, e non la sua pubblicità! Pertanto, stante che l'acquisto avviene con la stipula del relativo negozio, non avendo la conseguente pubblicità alcuna valenza costitutiva, basta solo che l'acquisto del diritto reale sull'immobile sia anteriore alla nascita del privilegio per il credito di imposta o anche successivo al sorgere del credito per imposte suppletive. Per tali motivi risulta del tutto ininfluente l'efficacia della trascrizione dell'acquisto, con la trascrizione dell'accettazione tacita dell'eredità! Che vi sia o non vi sia trascrizione dell'accettazione tacita, questa non gioca alcun ruolo per favorire il terzo, tutelarlo o consolidare il suo acquisto. Lo Stato prevarrà in ogni caso, basta solo che il credito tributario sia sorto, in capo al defunto, prima dell'acquisto del terzo dall'erede. Ma di ciò il nostro ordinamento non prevede pubblicità.
Ai nostri pratici fini, dunque, il terzo avente causa potrebbe ben decidere di non effettuare la trascrizione tacita dell'eredità, a meno che non tema un qualche inconveniente legato ad un possibile diritto all'ipoteca concesso in vita dal defunto o legato a vicende del defunto che possano dar luogo ad ipoteca giudiziale.
10.POSSIBILITA' DI REALIZZARE L'USUCAPIONE ABBREVIATA
L'avente causa da chi sia acquirente a titolo successorio o da chi abbia nella propria catena di acquisti a titolo derivativo, potrebbe pretendere che il venditore sani la continuità delle trascrizioni, attraverso la trascrizione dell'accettazione tacita dell'eredità (come è in questi ultimi tempi prevalso, ma come è qui criticato), oppure potrebbe determinarsi egli stesso a farlo (come è qui sostenuto), temendo che – in mancanza – non possa realizzarsi in suo favore l'effetto positivo della cosiddetta usucapione breve.
Il timore potrebbe essere fondato se fosse provato che la continuità delle trascrizioni fosse elemento costituitivo dell'acquisto.
In realtà il problema è del tutto inesistente e, sia che si aderisca alla posizione in queste righe esposta, sia che si ritenga di aderire alla contemporanea visione della necessità di far carico al venditore della trascrizione dell'accettazione, in entrambi i casi la decisione se trascrivere o meno, e su chi far ricadere l'onere o se si vuole l'obbligo, anche da punto di vista dei costi da sostenere, si può assolutamente prescindere dal rischio di una temuta inoperatività dell'usucapione abbreviata a favore del dante causa (se teoricamente già maturata) o a favore dell'avente causa (se si auspichi una sua futura maturazione). La ragione dell'inesistenza del problema non sta nel fatto che l'usucapione è fattispecie di acquisto a titolo originario e non derivativo. Questa ragione si attaglia all'usucapione ordinaria, per cui non sussiste proprio un problema di trascrizione e, conseguentemente, di continuità sanata o non sanata. Qui si tratta di usucapione abbreviata, che necessita della trascrizione di un titolo astrattamente idoneo al trasferimento, e la trascrizione di tale titolo se non è efficace (per violazione del disposto dell'art.2650 c.c.) sembrerebbe non poter dare luogo al dies a quo, da cui far partire il decennio. Tuttavia, come si è detto, anche questo timore è da superare. La continuità delle trascrizioni, infatti, richiesta dall'art.2650 c.c. si riferisce sempre ad acquisti a titolo derivativo riconducibili al conflitto di cui all'art. 2644 c.c. . A tale conflitto, come sopra si è detto più volte, sono estrani gli acquisti mortis causa, risolti in base al diritto sostanziale e non pubblicitario. Un'altra, definitiva, motivazione dell'inoperatività della continuità delle trascrizioni al tema dell'usucapione abbreviata si rinviene nel carattere sicuramente costitutivo della trascrizione dell'acquisto, nel contesto dell'usucapione abbreviata (Messineo, Manuale di dir. civ. e comm., 1965 pag.764). In sostanza, così come nell'usucapione ordinaria il dies a quo parte dal momento della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi (oggettivi e soggettivi) del possesso non violento o clandestino, anche nell'usucapione breve il dies a quo non può che coincidere con la mera trascrizione del titolo astrattamente idoneo, indipendentemente dalla sussistenza o meno della continuità, che è principio utilizzato al fine dirimente tra due soggetti attraverso il mezzo della prenotazione: orbene, nessun effetto prenotativo può essere ipotizzato in una vicenda di acquisto a titolo originario, quale quella della usucapione abbreviata.
E' stato osservato che è astrattamente possibile che chi usucapisce sia un secondo avente causa che trascrive per primo e che possiede per un decennio. In tale ipotesi sembra riprendere vigore l'effetto prenotativo e, quindi la necessità della sussistenza della continuità delle trascrizioni che renderebbe efficace il titolo trascritto. Ma, ancora una volta, il problema è solo apparente, perchè: a) se si vuol risolvere un conflitto tra il primo acquirente che non ha posseduto né trascritto (o trascritto dopo) ed il secondo acquirente che ha trascritto prima e posseduto in buona fede, allora in realtà siamo di fronte ad un normale caso di acquisto “a domino” e “a ex domino”, che si risolve comunque a beneficio del secondo, una volta sanata la continuità delle trascrizioni in applicazione del principio di prenotazione. Ma siamo al di fuori della fattispecie dell'usucapione; b) se, invece, di usucapione si tratta, vuol dire che vuol risolvere un conflitto tra titolare di una idonea catena di titoli derivativi e l'acquirente “a non domino”, con due diversi piani, tra loro incommensurabili (quello dei titoli derivativi e del titolo originario). Ciò rende il sistema del 2650 c.c inappropriato, perchè mai, per definizione, l'avente causa che acquista a non domino potrà avvalersi di una sana continuità e, pertanto, la prevalenza sarà data all'uno o all'altro solo sulla base della sussistenza o meno degli elementi voluti dalla legge per l'usucapione abbreviata: possesso, buona fede, titolo astrattamente idoneo e mera trascrizione dello stesso.
Con la garanzia per evizione, il venditore assume su di sé la responsabilità per eventuali fatti, appunto “evizionali”, che portano la parte acquirente a subire la perdita di possesso o addirittura ad essere espropriata del bene i sè, a vantaggio di chi, agendo, riesce a far prevalere un proprio diritto contro il concorrente diritto dell'avente causa. Realizzandosi tale circostanza, l'avente causa ha azione contro il proprio dante causa, sulla base della garanzia ricevuta, per il ristoro del danno subito.
Sembrerebbe, pertanto, che in virtù del predetto istituto, il venditore sia posto nella condizione di dover offrire, al proprio avente causa, ogni più ampia certezza, circa la solidità e assoluta permanenza degli effetti contrattuali prodotti con l'atto di trasferimento. Questa conseguenza è, tuttavia, assolutamente errata, non sussistendo, nel nostro ordinamento, un obbligo giuridico a prestare le garanzie di cui sopra e, tantomeno, a prestarle al massimo dei gradi. E' ben noto, ad ogni operatore di diritto, che la garanzia per evizione è materia disponibile dalle parti, fino ad essere totalmente esclusa quando si voglia stipulare, in piena consapevolezza, un contratto a totale rischio della parte acquirente e questa vi acconsenta. La garanzia per evizione, pertanto, può ben essere modulata secondo la volontà delle parti e, se nell'esercizio dell'autonomia contrattuale, le parti raggiungono un accordo in base al quale ogni rischio per fatti evizionali ricadrà nella sfera giuridica della parte venditrice, vorrà solo dire che questa risponderà patrimonialmente per l'eventuale evizione subita dall'altra parte e non certo che il venditore\garante sia tenuto a porre in essere tutte quelle cautele destinate a salvaguardare l'acquisto del proprio avente causa. In altri termini, così com'è possibile escludere l'evizione o semplicemente modularla, è parimenti possibile concedere la più ampia garanzia per evizione, restando al garante la facoltà di decidere quali cautele adottare affinchè la garanzia prestata possa evitare di tradursi in azione risarcitoria. La garanzia per evizione opera non sul piano sostanziale ma su quello processuale. Se il garante decide di poterla prestare senza adottare particolari o costosi accorgimenti, ritenendo che non sarà mai chiamato a rispondere patrimonialmente, ciò avverrà poiché il suo livello di certezze è tale da rassicurarlo sull'assoluta inattaccabilità dei diritti trasferiti al proprio dante causa.
Si pensi ad un erede che sà, con assoluta certezza, di essere l'unico figlio legittimo di genitori defunti a cui riconosce assoluta devozione, confidando nella mancanza certa ed assoluta sia di temibili testamenti contrari, sia di passività occulte che possano far temere il sorgere di improvvisi gravami ipotecari iscritti contro i de cuius, per ciò solo prevalenti sull'acquisto del suo avente causa (vedi sopra).
In tali circostanze, la parte venditrice non avrà alcun motivo di ritenere opportuno rafforzare la prestata generica garanzia per evizione con una trascrizione della sua accettazione tacita dell'eredità. La parte acquirente, invece, ignara delle certezze proprie del venditore, potrà decidere di assumere su di sé l'onere della trascrizione in parola, blindando definitivamente il proprio acquisto e rafforzando la garanzia per fatti evizionali, comunque ricevuta, ma che opererà – ormai – per fatti ed eventi diversi da quelli successori. Allo stesso modo, specularmente, qualora l'acquirente riconosca sussistenti le ragioni di certezza vantate dal venditore, in quanto da lui direttamente conosciute come vere o, semplicemente perchè riconosciute come credibili o plausibilmente vere, egli potrà maturare un grado di sicurezza e di tranquillità tale da fagli decidere di non assumere alcun onere pubblicitario, ritenendo sufficiente la ricevuta garanzia per evizione o addirittura non ricevendo alcuna garanzia.
In definitiva se è vero che, con una grossolana definizione, il venditore – che non assuma di vendere cosa altrui - deve presentarsi con “tutte le carte in regola” per poter operare un ordinario trasferimento, è anche vero che nessuna norma impone alle parti di porre in essere tutto ciò che è utile o opportuno (anche se non necessario) per la definitiva stabilità dell'acquisto, vertendosi in tale materia, in ambito di diritti disponibili. Ai nostri pratici fini, in definitiva, fermo restando l'obbligo istituzionale, per il notaio, di prospettare ai propri clienti l'opportunità di operare la trascrizione mortis causa, illustrando meccanismi e casistica, nonchè le conseguenze di una eventuale omissione della stessa, prima fra tutte quella secondo la quale l'acquirente potrebbe trovarsi tra le mani un bene difficilmente commerciabile, ben potrebbero le parti – edotte - decidere di non trascrivere alcunchè oppure di trascrivere a cura e spese di una o l'altra o di entrambe le parti, in diverse percentuali, a seconda della misura di certezze maturata in capo a ciascuna di esse. Ciò che non è per niente conforme a diritto è l'imposizione della trascrizione (ancor peggio se da parte del notaio), automatica ed acritica, verso la parte venditrice, giustificata da un'inesistente dovere di prestare garanzia per temuti fatti evizionali.
12. INTERFERENZA DEL D.L. 78\2010 - CONFORMITA' CATASTALE
Un argomento di sicuro interesse da affrontare è la possibile interferenza operata dalle norme contenute nel DL 78\2010, in tema di conformità catastale, sul ragionamento sin qui svolto e sulla tesi sostenuta. Ci si deve, dunque, chiedere se la sussistenza della continuità delle trascrizioni, postulata nelle norme di cui al citato decreto sia una condizione che necessariamente deve preesistere alla stipula e che, perciò, rende necessaria la preventiva trascrizione dell'accettazione tacita dell'eredità, riportandola indietro, nella sfera giuridica dell'alienante, sia esso un diretto avente causa del de cuius, sia esso (fatto molto più fastidioso per chi lo subisce) solo un avente causa non immediato. Senza dover esaminare a fondo la natura delle norme in commento, è necessario tuttavia richiamarle per poterle correttamente valutare, ai nostri fini. L'art. 29 della L 27\2\1985 n.52, come modificato dal decreto 78 e dalla legge di conversione, dispone: “....Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari.” Secondo la migliore dottrina (Petrelli, op. cit. pag. 74) l'espressione deve essere valutata tenendo conto delle finalità della norma: individuare, ai fini fiscali, il soggetto titolare dei diritti reali. E, secondo il citato autore, la cui opinione si condivide, “accertare le risultanze dei registri immobiliari significa verificare....l'esistenza della continuità richiesta dall'art.2650 c.c.” (Op. cit. pag. 76) Così, brevemente, ricordato il quadro normativo, pur in assenza di sanzione esplicita prevista per il notaio inadempiente, se non a livello disciplinare e – ricorrendone le circostanze dannose – a livello di responsabilità civile, non sembrerebbero esservi margini di manovra per salvare tutto il discorso fin qui svolto: la continuità delle trascrizioni, a seguito della trascrizione dell'accettazione tacita dell'eredità, deve essere frutto di un necessario pre-allineamento delle risultanze dei registri immobiliari a quelli catastali!
In realtà la validità della tesi, sin qui sostenuta, resiste in tutta la sua forza sol che si consideri, da un lato la finalità fiscale della norma e dall'altro la natura della trascrizione dell'accettazione tacita. Se la finalità è quella di consentire al fisco di individuare il soggetto passivo di imposta e di individuarlo con assoluta certezza, senza dover svolgere attività di accertamento inutili ed illegittime contro un mero apparente proprietario, tale finalità è pienamente raggiunta con l'intestazione catastale dell'erede, conseguente alla voltura della Dichiarazione di Successione. La mancata intestazione dell'erede anche presso i registri immobiliari, o la mancanza della continuità delle trascrizioni coinvolgente l'avente causa, non può portare danno al fisco, giusta la natura onerosa e non obbligatoria della trascrizione che stiamo esaminando e che, come sopra, è stata ricordata. Ai fini dell'assoggettamento della continuità delle trascrizioni alle norme dettate dal DL 78\2010 occorre che la trascrizione stessa sia inquadrabile tra quelle obbligatorie previste dalla legge, poichè il decreto in esame nulla ha mutato circa il regime e la natura delle diverse ipotesi di trascrizione (onerosa\obbligatoria; dichiarativa\costitutiva; dichiarativa\notizia), ma si è, invece limitato – come doveva – a disegnare un quadro che desse la possibilità al fisco di individuare con esattezza (quella fornita dai nostri registri a base personale e non reale, con i relativi limiti) il vero titolare del rapporto passivo dal punto di vista fiscale. E poiché è caratteristico dell'onere sopportare le conseguenze giuridiche (e perciò anche fiscali) direttamente conseguenti al non aver tenuto idonei comportamenti conformi al proprio interesse, un intestatario catastale che dovesse, poi, risultare solo erede apparente e che avesse dovuto subire, a causa del suo mancato onere, un'azione repressiva di carattere fiscale, non potrebbe di ciò legittimamente lagnarsene.
Tutto ciò in via strettamente astratta e teorica. Se, poi, si dovessero esaminare praticamente i singoli casi che, nella fattispecie che stiamo affrontando, si possono realizzare, il discorso viene vieppiù confermato.
Casistica breve:
Il penultimo ed il terzultimo caso sono emblematici, poiché l'intestatario formale dovrà rispondere alla richiesta fiscale sia nel periodo in cui sembrava essere il vero titolare dei diritti (in caso di successiva soccombenza, per non aver attuato comportamenti onerosi a suo favore) poiché il fisco ha correttamente agito verso l'intestatario formale, non potendosi pretendere che per l'azione fiscale sia preventivamente realizzato un completo pre-allineamento anche immobiliare, sia in caso di corretto utilizzo degli oneri a proprio carico, con conseguente prevalenza verso l'erede vero (es. caso del 2652 n.7), poiché data la sua prevalenza è indubbia anche la sua responsabilità fiscale.
In definitiva, non sembra proprio che la mancata continuità delle trascrizioni, derivante dalla mancata trascrizione dell'accettazione tacita dell'eredità, che è trascrizione onerosa e non obbligatoria, possa in qualche modo arrecare danno al fisco, confermandosi, così, l'estraneità e la non interferenza del DL 78\2010 con le tesi ed i suggerimenti operativi fin qui sostenuti.
CONCLUSIONI
E', ora, possibile tirare le fila di quanto sostenuto. Nel modo più schematico possibile, qui si sostenere che:
In questo quadro, che rispetta il principio di opportunità, riconosciuto pure dal protocollo notarile n.8 sull'argomento, lo scenario evidenziato all'inizio non si realizzerà, e ciò per mancanza di elementi intuitivamente iniqui, come tali percepiti dall'erede dante causa o, addirittura, dall'avente causa dell'erede chiamato a sanare e pagare una situazione giuridica che lo stesso percepisce totalmente estranea a sé!
Il diretto avente causa, invece, se ben informato, capisce che la spesa è a tutto suo vantaggio e, qualora ritenga di non correre alcun rischio, per valutazioni specifiche del caso concreto, potrà decidere di non ottemperare all'adempimento in oggetto.
Al fine di prestare la propria professionale collaborazione al soggetto che si accinge ad acquistare, il notaio dovrà presentare un quadro il più completo possibile degli inconvenienti, quali sopra elencati. La sua indagine storica dovrà spingersi nel ventennio, poiché solo questo periodo è stato ritenuto, dalla giurisprudenza e dalla dottrina, come confacente ai diligenti doveri professionali. E' stato obiettato che non v'è limite all'indagine storica e che, solo per questo, sarebbe sufficiente limitare l'indagine ai 10 anni necessari per la prescrizione del diritto ad accettare l'eredità, o ai 5 anni richiamati dall'art.2652 n.7 c.c. L'obiezione è da respingere, perchè: a) nel primo caso, il termine per accettare potrebbe essere sospeso o interrotto, per cause non legati ad eventi soggetti a pubblicità; b) nel secondo caso, si è dimostrato al superiore capitolo 4 che il termine di 5 anni non è rivolto alla domanda giudiziale in sé, né è rivolto alla data dell'apertura della successione, sicchè una eventuale domanda deve intervenire entro 5 anni dalla detta apertura, ma è – invece - rivolto alla differenza di tempo che deve trascorrere tra la trascrizione dell'acquisto dall'erede apparente e la trascrizione (successiva) della domanda giudiziale.
Anche l'affermazione secondo cui non vi sarebbe limite temporale alla ricerca, ai fini della continuità delle trascrizioni, trova un ostacolo letterale nell'art. 225 disp. att. c.c. “il quale dispone che il principio della continuità opera solo con riguardo agli atti conclusi successivamente all'entrata in vigore del codice civile e quindi a far tempo dal 1942” ( Gazzoni - Il Codice Civile – Commentario diretto da Pietro Schelesinger - La Trascrizione Immobiliare – Tomo Secondo artt. 2646\2651 – Giuffrè 1993, pag.193), e precisamente a fino al 21 aprile 1942 (data di entrata in vigore del codice civile). La concreta operatività dei traffici giuridici e la repulsione per ogni inutile pedanteria ha, però, portato dottrina e giurisprudenza a tener conto del disposto complessivo dei principi ricavabili dall'ordinamento, in particolare modo dagli articoli del codice civile 534, 563 u.c., 954, 970, 1158, 1014 n.1, 1073 primo comma, 2668 bis comma primo, 2668 ter, 2847 e 2880; per effetto di tutte queste norme è possibile limitare, secondo la normale diligenza professionale, le ispezioni ipotecarie nel ventennio. Anche il c.p.c., all'art 567, comma secondo, consente che il certificato delle iscrizioni e trascrizioni eseguite, si limiti a certificare i venti anni antecedenti alla trascrizione del pignoramento. Quest'ultima norma procedurale ha, anche, una portata interpretativa logico-sistematica di grande portata: “Sarebbe, del resto, irragionevole che il giudice dell'esecuzione dovesse limitarsi, nell'accertamento dei diritti reali, ai fini dell'espropriazione forzata, al ventennio ed invece, questo limite, non valesse negli altri procedimenti...” (Petrelli -Conformità catastale e pubblicità immobiliare – Giuffrè 2010 - pag. 77).
Per finire, riporto una citazione, che ritengo emblematica di tutto il discorso, fatta da Gazzoni (Op. Citata, pag.102 e nota (4): “Ne consegue che il successore non ha alcun personale interesse a trascrivere il proprio acquisto mortis causa … (omissis) ... Lo rileva Salani, appunti sulla trascrizione dell'accettazione di eredità, in Riv. Not., 1963, I, p.49, secondo il quale la spinta a trascrivere spesso deriva dalla necessità di ottenere un mutuo ipotecario da istituti bancari, i quali esigono che sia curata la continuità: “molti paratici sorridono di queste pretese delle banche ed effettuano la trascrizione così come si contenterebbe un bambino capriccioso. |
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