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Idee ed opinioni
IL SOCIO D'OPERA NELLE SOCIETA' DI CAPITALI E NELLE SOCIETA' DI PERSONE Pubblicato il 09/04/2013 in "Diritto Commerciale" Studio ad opera del Notaio Minniti, pubblicato sul n.6 della rivista VITA NOTARILE dell'anno 1986.
IL SOCIO D'OPERA NELLE SOCIETA' DI CAPITALI E NELLE SOCIETA' DI PERSONE #### Sommario: 1. Premessa introduttiva. - 2. La corrente maggioritaria in generale. 3. - Il capitale: funzione di garanzia. - 4. - Critica e seconda corrente (minoritaria). - 5. Ulteriori argomentazioni della dottrina tradizionale. - 6. (Segue): La vera funzione di garanzia del capitale. - 7. (Segue): Conferimenti di capitale/conferimento di patrimonio. - 8. (Segue): Natura del conferimento d'opera. - 9. (Segue): Prestazione d'opera come conferimento di patrimonio. - 10. Alcuni casi: trasformazione e fusione; cenni. - 11. Lo scioglimento delle società: diritti del socio d'opera.
1. Premessa introduttiva #### Il D.P.R. 10 febbraio 1986 n.30, portante "Modificazioni alla disciplina delle società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata e cooperative, in attuazione della direttiva del Consiglio delle Comunità europee n. 77/91 del 13 dicembre 1976, ai sensi della legge 8 agosto 1985 n. 412", ha portato, tra l'altro, alla sospirata soluzione di uno spinoso problema, che non poco aveva affannato gli interpreti. #### Con l'art. 5 del decreto citato si è, infatti, sostituito il testo dell'art.2342 c.c. che, ora, nel suo ultimo comma, chiaramente recita: "Non possono formare oggetto di conferimento le prestazioni di opera o di servizi". Tale formulazione è rimasta ferma anche dopo l'ultima maxi riforma del diritto societario. #### Ma se è vero che il disposto della legge è chiaro, non lasciando più adito a dubbi, e sbarra la strada a qualsiasi tentativo di aggiramento, seppur tentato con sofisticate tecniche interpretative; e se è altresì vero che la forza imperativa della norma è tale da imporsi a qualsivoglia geniale interprete, è pur tuttavia vero che la scelta legislativa, operata a favore di una delle due tendenze di pensiero, può ben essere, in sè, oggetto di valutazione e - se del caso - di critica. #### Occorre, cioè, verificare, alla luce delle opinioni più autorevoli che in passato s'erano occupate del problema, se tale scelta legislativa sia in armonia con il nostro sistema giuridico in materia societaria. #### L'esame comparato delle due vecchie opposte tendenze, ci permetterà di verificare se la necessità di "adeguarsi all'Europa" abbia portato all'adozione di una norma non consona all'attuale sistema, o se, viceversa, abbia opportunamente evitato - con un chiaro disposto - che una interpretazione ardita potesse portare all'utilizzazione di uno strumento societario anomalo. Per facilità d'esposizione e per evitare un eccessivo condizionamento operato dal decisivo orientamento legislativo, mi sia consentita un'insolita fictio: immaginando ancora irrisolto il problema, affronterò l'esame delle due opposte tendenze, utilizzando uno studio elaborato prima dell'intervenuta modifica; con la speranza che le successive righe possono contribuire a sostenere la congruità della scelta legislativa.
2. La corrente maggioritaria: in generale
La dottrina era divisa in due grosse correnti: da una parte, chi afferma la conferibilità a capitale di una prestazione d'opera (Portale, Di Sabato, Ferri, Ghidini), dall'altra chi lo nega, ammettendola esclusivamente per le società di persone (Simonetto, Silvetti, Ferrara jr., Santino, Cottino, Romagnoli). Occorre, dunque, esaminare separatamente le motivazioni enunciate dalle due diverse correnti. La dottrina, per ultimo citata, non nega (nè potrebbe farlo) che l'articolo 2247 c.c. ammette, in sede di disposizioni generali, la conferibilità di "servizi" ai fini della valida stipulazione del contratto di società. Tuttavia interpreta la norma in modo singolare, affermando che "non per tutte le società regolate dalla legge calza la definizione di cui all'art. 2247 c.c...., se può aversi una società semplice priva di capitale, per consistere i conferimenti dei soci unicamente in servizi, la cosa sembra da escludere per le società in nome collettivo ed in accomandita semplice, quantomeno ai fini dell'iscrizione nel registro delle imprese, occorrendo all'uopo un conferimento di beni e quindi un capitale sociale (arg.ex art.2295 nn.6 e 7), mentre poi nelle società di capitali il conferimento dei servizi non è addirittura consentito, dovendo tutti i conferimenti rappresentare una frazione del capitale sociale" (Ferrara jr., Gli imprenditori e le società, Milano, 1980, V, 171). In altre parole, può dirsi che il socio d'opera può conferire la sua attività solo nelle società di persone, perchè il suo conferimento non è tra quelli che si definiscono "di capitale". In base allo studio sistematico degli articoli del codice civile inerenti alla materia, questa dottrina ha, infatti, creduto di individuare due tipi di conferimento: "di capitale" e "di patrimonio". I primi hanno per oggetto entità che possono iscriversi in bilancio come posta attiva (denaro ed altri beni); i secondi di industrie, credito, uso del denaro), non sono conferimenti di capitale, si esauriscono con la loro prestazione, ed attribuiscono al socio solo il diritto di partecipare agli utili e non al rimborso (Ferrara Jr., cit., p.223).
3. Il capitale: funzione di garanzia
La iscrivibilità in bilancio sarebbe, dunque, elemento imprenscindibile del c.d. conferimento di capitale. Esso consentirebbe la individuazione del c.d. capitale reale, composto di beni attribuiti in proprietà alla società, come tali perfettamente idonei all'espropriazione forzata e destinati, dunque, alla precipua garanzia dei creditori sociali. Ed ecco il perno su cui basa il ragionamento, la corrente dottrinaria in parola; la funzione del capitale; essendo questo destinato alla garanzia dei creditori, è perfettamente conferibile tutto ciò che è iscrivibile in bilancio, e, pertanto, espropriabile. Non a caso (fanno rilevare questi autori) v'è differenza sostanziale tra le società di persone da una parte, dove il capitale non potrebbe propriamente parlarsi, bensì solo di patrimonio stante la responsabilità personale, illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni sociali; e le società di capitali dall'altra, dove, realizzandosi il massimo di separazione tra patrimonio sociale e patrimonio dei singoli soci, solo il primo è soggetto alle vicende economiche sociali e, pertanto, solo per questo è prevista una normativa specifica volta a salvaguardare la reale consistenza del capitale. Pertanto, nelle società di capitali "non possono essere conferiti...lavoro o servizi in genere" (Santini, Commentario Scialoja-Branca,artt. 2472-2497,p.63) "che non adempiono alla funzione di garanzia cui i conferimenti sono nel loro complesso destinati (Auletta, Simonetto, Santini)", (Cottino, Diritto Commerciale, Padova, 1976, I, p.563).
4. Critica e seconda corrente (minoritaria)
Questa tesi è stata assoggettata a penetranti critiche dall'opposta corrente dottrinale che, facendo perno sulla strumentalità dei conferimenti rispetto alla realizzazione dell'oggetto sociale, propongono un diverso concetto sulla funzione svolta dal capitale sociale. Secondo questi autori (Portale, Di Sabato, Ferri G.) il capitale non è solo e semplicemente l'insieme dei conferimenti attribuiti in proprietà alle società, in funzione di garanzia, bensì l'insieme delle "utilità" di cui la società può godere ai fini della realizzazione dell'oggetto sociale indicato nello statuto. Ed infatti, che sia così è dimostrato sia dalla mancata corrispondenza necessaria tra beni iscrivibili in bilancio ed espropriabilità degli stessi (dato che "la stessa legge... ha espressamente previsto.... il conferimento d'azienda o di ramo d'azienda, la cui espropriabilità - in quanto complessi unitari - è estremamente dubbia". Di Sabato, Manuale delle società, UTET, 1984, p. 249), sia dalla decisiva considerazione che i conferimenti iniziali possono essere presto investiti e convertiti in beni o servizi non certo espropriabili (si pensi all'affitto di un complesso aziendale, utilizzando il denaro conferito dai soci). Su questa base si è potuto affermare che non è vero che nelle società di persone (nelle S.S. in specie) sia impreciso parlare di " capitale"; questo esiste in ogni tipo di società, sia pure assoggettato a diversa normativa in funzione del più o meno elevato grado di autonomia patrimoniale di cui tutte le società godono. Dunque, dalla pretesa funzione di garanzia, attribuita al capitale, non può argomentarsi l'impossibilità di conferire l'opera come bene capitale. A sostegno di questa tesi, ancora, si fa rilevare la sintomatica contraddizione in cui cade la dottrina dominante: v'è infatti chi, sostenendo la funzione di garanzia del capitale, coerentemente afferma che non sarebbe possibile conferire (in Soc. capitali) beni in godimento, ma solo in piena proprietà; vceversa lo stesso Ferrara jr. sembra ammettere la possibilità di conferimento di beni in uso anche nelle società di capitali, escludendo - incoerentemente - il conferimento d'opera (Ferrara jr., op. cit., p.223). In realtà, si afferma, "niente fa ritenere che l'espressione "conferimenti in natura" si riferisca alle sole cose di cui si trasferisce il diritto di proprietà e, d'altro canto, il richiamo all'articolo 2255, che disciplina le garanzie ed i rischi per i conferimenti nelle Società Semplici, si riferisce sia alle cose conferite in proprietà sia a quelle conferite in godimento" (Di Sabato, Manuale, cit., p.243); beni non sono solo "le entità suscettibili di diritti reali" (Portale, Capitale sociale e conferimenti nelle soc. per az., in Riv. Soc., 1970, pag. 55), ma ogni altra utilità suscettiva di valutazione economica ed idealmente appropriabile (Santoro-Passarelli, Dottrine Generali del diritto civile, Napoli, 1981, p.55 ss.). Ma non basta, la teoria tradizionale viene criticata anche su un altro punto: essa ignora che le attività economiche sono caratterizzte da fenomini non solo di ordine patrimoniale ma anche di ordine finanziario. "Un'attribuzione pari a 100 può avere lo stesso valore patrimoniale del servizio finanziario consistente in prestito senza interessi di una somma X per una durata Y" (Di Sabato, cit., p.94). E sotto questo punto di vista "non si può escludere che la società abbia acquistato (attraverso un conferimento di lavoro o d'opera) un'utilità suscettiva in sè e per sè di valutazione economica, e tale da costituire un valore capitale: precisamente l'utilità che deriva dall'acquisto del diritto... alla prestazione dell'attività alle condizioni fissate nel contratto " (G.Ferri, Commentario Scialoja-Branca, artt. 2282-83, pp.223-224). Conseguentemente può dirsi che la distinzione tra conferimento di capitale e conferimento di patrimonio non ha alcuno appiglio normativo e la non conferibilità del servizio nelle società di capitali è solo frutto di una "pregiudizievole antistorica nei confronti del socio d'opera". (Di Sabato, op. cit., p. 92). In conclusione, per la corrente dottrinaria in parola, deve ammettersi la conferibilità a capitale sia di beni in godimento che di servizi; ed il problema (se problema si vuol trovare) è, allora, solo nella difficoltà di valutazione economica del conferimento di servizio (Ferri) non dell'estratta possibilità di "capitalizzazione". Ancora, a sostegno, gli autori citati fanno rilevare come alcuni autori - fautori della tesi opposta - (De Gregorio, Società, p.53; Ferrara jr.,cit., p. 223, nota 55) ammettano la capitalizzazione del conferimento d'opera ma negano - incoerentemente - la conferibilità in società di capitali!. Questa soluzione, condiziona notevolmente, come vedremo, la problematica relativa ai diritti del socio d'opera in sede di scioglimento e liquidazione della società, sia perchè configura un "certo" diritto del socio d'opera, sia perchè allarga la prospettiva delle società di persone alle società di capitali.
5. Ulteriori argomenti della dottrina tradizionale
Ma alle superiori obiezioni la dottrina tradizionale ha opposto ragguardevoli argomenti che toccano quattro punti: a) la vera funzione di garanzia del capitale; b) il fondamento normativo della distinzione conferimento di capitale/di patrimonio; c) la natura dell'utilità offerta dal servizio conferito; d) il vero motivo per cui non è possibile concepire il servizio com conferimento di capitale. Attraverso questi punti si è voluto, non tanto correggere il tiro, quanto chiarire i concetti che sembrano contraddittori e che hanno permesso una critica tanto serrata quanto quella sopra riportata.
6. (segue): la vera funzione di garanzia del capitale
Si è iniziato col precisare che la reale funzione del capitale non è tanto quella di essere a garanzia dei terzi in quanto avente ad oggetto beni espropriabili ed iscrivibili in bilancio, dato che di ciò se ne è dimostrata sia l'infondatezza che la non necessaria corrispondenza. Il vero è che nel concetto di capitale il legislatore ha trasferito due tipi di funzione: da una parte la strumentalità del capitale per soddisfare l'esigenza che la società disponga immediatamente degli strumenti produttivi che sono costituiti dai conferimenti; dall'altra una funzione di garanzia che è data unicamente dal fatto che il valore del capitale è posto come prima posta ideale al passivo nel bilancio, in modo che tale da individuare la misura del patrimonio di cui non si può disporre in sede di ripartizione degli utili. Impedendo la ripartizioone di utili fittizi, il capitale "assicura la vitalità dell'impresa e indirettamente garantisce i creditori sociali "(Ferrara, op. cit., pp.2320-231). Visto sotto questo aspetto, dunque, la funzione del capitale è ininfluente ai fini della risoluzione del nostro problema; e si capisce, altresì, il perchè della pretesa contraddizione in cui cade il Ferrara jr. quando ammette la capitalizzazione del conferimento d'opera senza, però, ammettere che ciò sia conferimento di capitale, Ciò è perchè la c.d. capitalizzazione serve a rendere omogenee le partecipazioni e semplificare i rapporti, e non a rendere conferimento di capitale ciò che tale non è (confronta anche Simonetto, Responsabilità e garanzia nel diritto delle società, Padova, 1959, p.347, per il quale la capitalizzazione "è solo il valore distribuito nel tempo in concreto delle prestazioni future.... Si ottiene l'effetto di accertare attraverso un processo matematico.... il valore della partecipazione da dare al socio... non l'effetto di ridurre a capitale quello che capitale non è").
7. (segue): conferimento di capitale/conferimento di patrimonio
Quanto al punto b) è il Ferrara jr. che sostiene che la distinzione in parola è nella legge e non, invece, frutto di elaborazione dottrinale. Non si spiegherebbe altrimenti il disposto di cui all'art. 2295 n. 6 e 7. Il legislatore "ha contemplato distintamente le prestazioni dei soci d'opera e gli altri conferimenti e solo per questi ultimi esige che sia indicato il valore e il modo com'è stato determinato". Da qui un'opportunità (e non invece una necessità) di procedere alla cosiddetta capitalizzazione per il conferimento d'opera. Le due ipotesi sono, poi, considerate distintamente anche nell'articolo 2263, dal quale è possibile arguire che il giudice dovrà determinare solo la parte di utili spettante al socio d'opera, e non già procedere ad una valutazione (capitalizzazione) del suo apporto. Ed ancora, se la distinzione "conferimento di capitale/di patrimonio" non fosse stata nella mente del legislatore non si spiegherebbero le norme di cui agli art. 2345 c.c. (che solo in via accessoria ammette la prestazione d'opera) e 2343 c.c. che stabilisce un sistema vigoroso di controllo per la stima dei conferimenti in natura, tra i quali non può esservi certamente il servizio!. E', dunque, palesamente errato affermare - come fa la contraria dottrina - che la distinzione in parola non ha alcun fondamento normativo.
8. (segue): natura del conferimento d'opera Venendo al punto c), v'è ora da chiedersi quale sia l'utilità di un conferimento d'opera, se questo non può essere considerato conferimento di capitale. La risposta è data chiaramente dal Simonetto (Responsabilità e garanzia, cit., p.338) il quale afferma che "è vero che il capitale in senso economico esiste... ma esso [non è rappresentato dal diritto alla prestazione, come vorrebbe, il Ferri (l'inciso è mio) bensì]... dalla persona medesima che conferisce, esplicando a vantaggio della società le sue energie lavorative. Questo capitale però (capitale personale) non passa mai a far parte del patrimonio e del capitale sociale, in quanto rimane in piena titolarità al socio". Il punto è di fondamentale importanza, perchè proprio sul concetto di tale "utilità" si fondano le differenti opinioni circa i diritti del socio d'opera in sede di scioglimento (come si vedrà più avanti).
9. (segue): prestazioni d'opera come conferimento di patrimonio Assodato, quindi, in cosa consista l'apporto del socio d'opera, si dovrà ora tentare una spiegazione soddisfacente sul reale motivo che ostacola la conferibilità del servizio in società di capitali. Si pensi ad una Società Semplice il cui capitale (secondo altri: patrimonio) sia composto tutto di conferimenti d'opera; cosa potrebbe essere aggredito dai creditori sociali se non il patrimonio personale dei soci?. E', dunque, che sia ammissibile nelle società di persone è intuibile perchè vi è un socio che "essendo tenuto a causa della responsabilità personale per le obbligazioni sociali,a pagare i creditori dell'ente, coopererà alla tacitazione dei creditori con i suoi beni; se, invece, nelle società di capitali fosse ammesso l'apporto di lavoro, il socio di lavoro non coopererebbe in alcun modo alla tacitazione dei creditori, essendo la sua responsabilità limitata all'apporto (d'opera) effettuato " (Simonetto, Responsabilità e garanzia nel diritto delle società, Padova, 1959, p.341). Non è quindi possibile "concepire una limitazione di responsabilità personale ad un conferimento non in capitale, perchè ciò equivarebbe ad una esclusione della stessa". (Romagnoli, Per uno studio sul conferimento d'opera, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1965, p.1495). Lo stesso autore continua affermando che: "poichè la esclusione della responsabilità è illegittima, ne deriva che solo il socio di captale può validamente stipulare il patto ex art. 2267 c.c.. Non c'è più posto per il socio d'opera con responsabilità limitata al conferimento" come lo sarebbe il socio d'opera che conferisca in società di capitale. D'altra parte la presente conclusione è conforme alla linea seguita dalla 2^ direttiva CEE in materia di costituzione di S.p.a., la quale all'articolo 7 stabilisce che il capitale può essere costituito unicamente da elementi dell'attivo suscettibili di valutazione economica, con esclusione degli impegni di esecuzione di lavori o di prestazione di servizi (citazione in Di Sabato, Manuale, p.250, nota 91).
10. Alcuni casi: trasformazione e fusione; cenni
In base alle superiori argomentazioni, le soluzioni prospettate, per casi particolari, sono implicite e coerenti con la duplicità delle posizioni. Per ciò che concerne la trasformazione, ad esmpio, "la presenza dei soci d'opera nella società a seguito di trasformazione presuppone un conferimento per un ammontare che per garantire la stessa partecipazione agli utili a loro attribuiti in quanto prestatori d'opera, deve corrispondere alla somma che essi avrebbero dovuto conferire al momento della costituzione della società" (Silvetti, Trasformazione e fusione, voce Noviss. Digesto, p.54). Diversamente il Ghidini (Le trasformazioni nelle società commerciali, Giur. Ital., 1938, IV, p. 349 ss.) il quale, aderendo all'opposta corrente, ritiene che" il patrimonio della società è costituito anche dal valore delle prestazioni del socio d'opera; il conferimento d'opera, quindi - sulla base della valutazione iniziale o a seguito di una nuova valutazione - consentirebbe di pretendere l'assegnazione di una quota o di azioni". Analogo, duplice, intuibile, discorso deve farsi in caso di incorporazione di Soc. di persone con soci d'opera, in società di capitali, per ciò che concerne il diritto del socio d'opera ad ottenere la partecipazione nella società incorporante.
11. Lo scioglimento della società: diritti del socio d'opera E' possibile, ora, richiamare lo stato della dottrina attuale in riferimento ai diritti del socio d'opera in sede di scioglimento della società. E' evidente che tutto ciò che segue è diretta conseguenza delle premesse teoriche sopra riportate, alle quali è stata, perciò, dedicata maggiore attenzione. Bisogna partire dalla normativa contenuta nell'art. 2282 c.c.: al momento dello scioglimento della società si dovrà procedere, anzitutto, all'estinzione dei debiti sociali; indi, l'attivo residuo sarà destinato al rimborso dei conferimenti; l'eventuale ecedenza costituisce l'utile che sarà ripartito tra i soci. Vi è un'ulteriore fase (che è però preliminare) che riguarda la restituzione dei beni conferiti in godimento, sui quali non possono soddisfarsi i creditori sociali dato che sono rimasti in proprietà dei soci conferenti. Vi è, dunque, una pluralità di fasi, di cui le prime due comportano diversità di soluzione, a seconda che si aderisca all'una o all'altra delle correnti dottrinali sopra riportate. Tralasciando il problema della partecipazione del socio d'opera alla perdita (1^ fase) (secondo alcuni entro i limiti, secondo altri al di là del limite del patrimonio sociale, arg. ex art.2280), ci occuperemo solo dei diritti spettanti al socio d'opera (2^ e 3^ fase), ipotizzando un'attività sociale che si concluda con debiti che non coprono l'intero patrimonio (il che, però, non è ancora società in attivo). Il problema sta nello stabilire se il socio d'opera abbia diritto ad un qualche rimborso del conferimento o meno. Secondo la tendenza minoritaria e coerentemente con le argomentazioni addotte, si afferma che "l'imputabilità a capitale di tutti i conferimenti consente ....l'eguaglianza di posizione dei soci al termine della società. Ciò in quanto sarà a tutti applicabile la regola generale dell'art. 2282, in forza della quale a tutti i soci viene rimborsato il valore dei conferimenti, quale che sia la natura di essi" (Di Sabato, Manuale, pag.93). Diversamente si giungerebbe ad inammissibili discriminazioni. Discorso analogo potrebbe farsi per i beni in godimento, che dovrebbero dar luogo, oltre alla restituzione del bene, anche al rimborso delle utilità godute dalla società e "perse" dal socio conferente. Nello stesso ordine di idee il Ferri (Commentario Scialoja-Branca, artt. 2282-83, pp. 223-224) per il quale "il rimborso presuppone che all'atto della costituzione sia entrato a far parte del patrimonio sociale un bene che debba essere restituito". Già s'è visto come questo bene venga individuato dal Ferri "nell'utilità che deriva alla società dall'acquisto del diritto alla prestazione alle condizioni fissate dal contratto", onde per cui secondo l'Autore, non può contestarsi al socio "un diritto al rimborso di quel valore che risponde all'utilità che la società ricava". Il diritto al rimborso, per Ferri, può essere escluso solo allorchè i soci "abbiano inteso escludere valore al diritto così acquistato dalla società. E' quasi inutile precisare che, portando agli estremi logici la tesi qui riportata, il diritto al rimborso della quota del socio d'opera sarà esistente sia nel caso di scioglimento della società di persone che in quella di capitali. La dottrina dominante è, tuttavia, di diverso avviso. Pagati i debiti, sarebbe necessario addivenire alla restituzione dei beni conferiti in godimento (2281), senza che a questi soci sia dovuto alcunchè a titolo di rimborso, perchè altrimenti anche al socio che ha conferito in proprietà dovrebbe essere rimborsato non solo il valore del bene ma anche il reddito che il socio non ha percepito avendo trasferito il bene alla società. Di vero rimborso può parlarsi solo in relazione ai beni conferiti in proprietà alla società, non in relazione ai beni conferiti in uso nè, tantomeno, ai conferimenti di servizi. Poichè, infatti, il servizio (opera istantanea o lavoro continuato) "non rappresenta nessuna entità reale, non è concepibile il diritto ad alcun rimborso" (Simonetto, cit., p. 337). Si è visto come, secondo la dottrina tradizionale, il conferimento d'opera non sia "di capitale" e poichè "il capitale sociale altro non è se non il diritto dei soci alla restituzione" (Simonetto, cit., p.333), ben si comprende come il socio d'opera non abbia alcun diritto ad alcun rimborso. Oggetto del conferimento d'opera (v.sopra) è in realtà l'energia lavorativa messa a disposizione del socio; ora, questa particolare utilità trova già il suo corrispettivo nella partecipazione agli utili, mentre di un vero e proprio rimborso non può parlarsi se non in senso indiretto, ossia nel senso di un'automatica liberazione dall'obbligo di prestare la propria attività, all'atto dello scioglimento. Tutto ciò per quanto concerne il diritto al rimborso (2^ fase). Ma non è tutto. Restituiti i conferimenti in uso, pagati i debiti, cosa succede se il residuo è insufficiente al rimborso integrale dei conferimenti? La problematica, a ben vedere, esula dal nostro tema, perchè ci riporta alla 1^ fase, di cui non ci siamo occupati: la parte mancante dovrà essere, infatti, considerata una perdita e, come tale, dovrà essere sopportata dai soci nella misura stabilita nel contratto sociale (ed anche qui senza unanimità di opinioni circa la sorte del socio d'pera, vedi retro). Ciò che resta, allora, è solo il diritto agli utili. Su questo diritto non vi sono sostanziali divergenze in dottrina: esso spetta al socio d'opera, così come ad ogni altro socio, secondo quanto stabilito dall'art. 2263 c.c. In un solo caso (e lo rileva Simonetto, op. cit., p.337) sembrerebbe che al socio d'opera spetti qualche cosa in più che un semplice diritto agli utili, e cioè quando "siano costituite riserve o, in generale, sia stato incrementato il patrimonio della società"; ma in tal caso, a ben vedere, "non si avrà restuzione o rimborso del conferimento in senso tecnico - nel senso in cui intende tale espressione la legge nell'articolo 2282 - ma pagamento della quota di liquidazione [ossia, ancora una volta "utile" (n.d.r.)] al socio il quale ha concorso, con la mancata percezione di utili, o altrimenti, alla costituzione di questo sedimento di bene". |
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